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L’ombra di un libro assente: il simbolo della morte e del decadimento in due momenti dell’Introdução À História Da Sociedade Patriarcal No Brasil di Gilberto Freyre

RC: 93477
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DOI: 10.32749/nucleodoconhecimento.com.br/formazione-it/lombra

CONTEÚDO

ARTICOLO ORIGINALE

RIBEIRO, René Salmito [1], NASCIMENTO, Expedito Tomaz do [2]

RIBEIRO, René Salmito. NASCIMENTO, Expedito Tomaz do. L’ombra di un libro assente: il simbolo della morte e del decadimento in due momenti dellIntrodução À História Da Sociedade Patriarcal No Brasil di Gilberto Freyre. Revista Científica Multidisciplinar Núcleo do Conhecimento. Anno 05, Ed. 11, Vol. 08, pp. 115-130. novembre 2020. ISSN: 2448-0959, Collegamento di accesso: https://www.nucleodoconhecimento.com.br/formazione-it/lombra, DOI: 10.32749/nucleodoconhecimento.com.br/formazione-it/lombra

RIEPILOGO

Considerando che la nota trilogia di Gilberto Freyre Introdução à história da patriarcal no Brasil – composta da Casa-grande & senzala, Sobrados e mucambos Ordem e progresso – sembra un insieme coeso, la mancata pubblicazione del quarto saggio, che farebbe dell’opera una tetralogia, Jazigos e covas rasas (che si occuperanno dei rituali funebri brasiliani dalla metà del XIX secolo all’inizio del XX secolo, sullo sfondo dello sviluppo del positivismo e del repubblicanesimo in Brasile, così come l’ultimo pubblicato dell’Introdução, e approfitterebbero del tema della morte come metafora del decadimento del patriarcato in Brasile), è inevitabile che verranno poste due domande, che alla fine possono essere ridotte a una : come quest’opera mancante, che Freyre sostiene di aver scritto ma perso, avrebbe cambiato la percezione delle opere precedenti, e in secondo luogo se, nonostante avesse perso l’originale, le sue idee non sarebbero state imbriate nelle opere precedenti, se avesse percepito l’insistenza con cui il titolo inedito è citato nelle introduzioni a Sobrados e mucambos e Ordem e progresso. Pensando soprattutto alla prefazione alla seconda edizione del secondo libro della trilogia originale e alla transizione che avviene tra Casa-grande & senzala e Sobrados e mucambos (i due momenti di cui parla il titolo di questa analisi), cerchiamo qui di mostrare come la metafora morte/decadimento si trova già nella trilogia originale e quali conseguenze possa avere questa stessa metafora in una rilettura dell’opera di Gilberto Freyre, individuarlo come una diffamazione in difesa di un modo di società che si sta spegnendo e dal quale l’autore si rivela beneficiario e nostalrista.

Parole chiave: Decadenza del patriarcato, Colonia del Brasile, Impero del Brasile, sociologia del Brasile.

1. INTRODUZIONE

Nell’introduzione alla seconda edizione di Sobrados & mucambos, la cui precedente edizione risale al 1936, Gilberto Freyre descrive brevemente il progetto di chiusura della collana di libri Introdução à história da sociedade patriarcal no Brasil, inun primo momento una trilogia, con un quarto libro. La prima, la famosa Casa-grande & senzala, tiene conto della costruzione del patriarcato rurale, partendo principalmente dai zuccherifici del nord-est, il cui picco si svolge nel XVII secolo, e fa l’analisi più importante, a suo tempo, della partecipazione del alla formazione della società brasiliana che non si basava su ipotesi eugeniche di inferiorità razziale, come ipotizzato da importanti studiosi come Oliveira Viana.

Il secondo, il già citato Sobrados & mucambos, parla di come il Brasile, da tre fatti storici decisivi (cioè lo sfruttamento dell’oro a Minas Gerais, che nel XVIII secolo avrebbe spostato l’asse economico della colonia dall’agricoltura all’estrazione mineraria, essendo il primo grande colpo subito dai zuccherifici, l’arrivo della famiglia reale in Brasile nel 1808 e la dichiarazione di indipendenza del 1822), inizia a urbanizzare, e man mano che questa urbanizzazione avvia gradualmente un conflitto tra lo spazio domestico e la strada, un conflitto che si tradurrà in una graduale discussione del patriarcalismo.

Il terzo, Ordem e progresso, parla dell’evoluzione del discorso positivista in Brasile, della sua influenza sulle forze armate e di come fossero uno dei più importanti fronti democratici del paese, non solo per ospitare il nero e il mulatto, ma prima di tutto perché lì avrebbero avuto una possibilità di ascensione sociale che pochi settori della società offrivano loro. Il quarto libro, che avrebbe trasformato la trilogia in tetralogia, aveva anche un titolo dicotomo, e parlava di rituali funebri. Come nei primi due, il titolo ha dato l’idea di dualità tra la vita dei più ricchi e dei più poveri.

Jazigos e covas rasas – il titolo con cui apparirà il lavoro di completamento dei nostri studi – copriranno il più possibile, come studio dei riti patriarcali di sepoltura e dell’influenza dei morti sui vivi, quelle varie fasi di sviluppo e disintegrazione – disintegrazione in cui si trova ancora la società brasiliana – del patriarcato, o della famiglia di tutela, tra noi. Patriarcato in un primo momento quasi esclusivamente rurale e persino feudale, o parafeudale; quindi, meno rurale che urbano. (FREYRE, 2002, p. 674)

Il quarto libro non fu mai scritto. L’Introdução è rimasta una trilogia, ma la presenza del tema della morte rimane una potente metafora che dà conto della transizione operata tra i primi due libri: la morte non è solo morte fisica, ovviamente, ma dà conto del decadimento di un mondo intero, un mondo di cui Gilberto Freyre si è sentito e si è confessato erede e di cui intendeva comprendere e preservare la memoria.

2. L’OPERA DI GILBERTO FREYRE: PATRIARDO REVISATO

In una recensione su Casa-Grande & Senzala: o livro que dá razão ao Brasil mestiço e pleno de contradições, un saggio di Mario Helio Gomes de Lima sul lavoro del sociologo di Pernambuco, Amurabi Oliveira divide l’accoglienza dell’opera di Gilberto Freyre in tre momenti decisivi:

(…) la prima sarebbe andata dalla sua pubblicazione fino alla metà degli anni ’60, quando ci sarebbero state recensioni più positive che negative sul libro, anche se ci furono attacchi da parte dei conservatori riguardo all’uso del linguaggio colloquiale, alla critica ai gesuiti e alle scuse alla cultura afro-brasiliana; il secondo sarebbe andato dalla metà degli anni ’60 agli anni ’80, un periodo in cui il lavoro è combattuto per la sua presunta mancanza di scientificità e l’interpretazione assunta sulla società brasiliana, ma Helio sottolinea che molte critiche sono state fatte senza che il lavoro fosse letto; e, infine, il terzo momento inizia negli anni ’90 e accelera con le celebrazioni del centenario della sua nascita negli anni 2000, quando emergono nuove opere che mirano ad approfondire l’analisi del suo lavoro. A questo punto, Helio ci porta una selezione di alcune opere prodotte in questo periodo che considera emblematiche, indicando altre fonti complementari per una migliore comprensione di Casa-Grande & Senzala. (OLIVEIRA, 2015, p. 455)

Il primo momento è quello che è più facilmente comprensibile dal contesto, nonostante la distanza temporale, data la rilevanza e la rivoluzione che la proposta dell’opera presenterà nel contesto intellettuale brasiliano, nonostante tanti decenni già passati, o proprio perché il distanziamento spesso aiuta a vedersi più chiaramente. L’Introduzione –iniziata con Casa-grande & senzala– arriva sostanzialmente con tre proposte rivoluzionarie per la sociologia. Il primo riguarda l’aspetto formale. Freyre si allontana dai metodi tradizionali usati finora, si allontana dalle questioni statistiche, rende la ricerca più qualitativa che quantitativa, eleggendo come fonte documenti finora circostanziali come vecchi giornali, pubblicità, canzoni e altri elementi.

Freyre opera, soprattutto, un intenso investimento stilistico: si percepisce l’estrema familiarità passata dal testo, in particolare il primo della trilogia, che rende l’opera più accessibile, anche per chi non è professionalmente dedito alla sociologia o all’antropologia. Si tratta di libri che possono essere letti con pura fruizione estetica, anche se, in molti punti, questa familiarità si arrampica nel linguaggio più colloquiale, usando deformazioni di parole, per parlare come le persone stesse, e senza rubare dal riferimento anche alla volgarità diretta, quando questo sembra all’autore necessario per la spiegazione di qualche contesto. Apparente semplicità testuale, dice lo stesso autore (enfatizzando nella spiegazione gli aspetti più familiari), parlando di influenze dirette che si assimilavano durante l’infanzia, e mettendo nella costruzione del linguaggio un riflesso dell’amalgama etnica che dimostra nella costruzione del brasiliano.

La sociologia, infine, abbandona il trattato e abbraccia la forma più libera di saggio, che, nel detto di Adorno, lascia la pretesa della verità universale e assoluta per fare spazio alle passioni del suo autore. O nelle parole dello stesso sociologo di Pernambuco nello spiegare l’apertura interpretativa e la relativa mancanza di conclusione del suo testo, con particolare attenzione a come questa stessa libertà sia appropriata non solo per parlare degli aspetti umani in generale, ma anche specificamente di quelli che riguardano la formazione dei brasiliani:

La quasi assenza di conclusioni, la povertà delle affermazioni, non significa tuttavia ripudio della responsabilità intellettuale per ciò che potrebbe non essere ortodosso in queste pagine. Contrariamente a quanto stabilito, agli accettati, ai consacrati. Perché questa qualità rivoluzionaria deriva dalla stessa evidenza del materiale raccolto e rivelato qui e interpretato all’interno della massima obiettività, metodo e tecnica possibile. E’ tempo di provare a vedere nella formazione brasiliana la serie di profondi disaggiustamenti, insieme ad aggiustamenti ed equilibri. E vederli insieme, districarsi da punti di vista ristretti e desiderosi di conclusione interessata. Da un punto di vista economico ristretto, è ora di moda come dal punto di vista politico ristretto, fino a poco tempo fa quasi esclusivo. L’umano può essere compreso solo dall’umano , per quanto può essere compreso; e la comprensione conta in un sacrificio maggiore o minore di oggettività alla soggettività. Perché nel caso di un passato umano, è necessario lasciare spazio al dubbio e persino al mistero: la storia di un’istituzione, se fatta o tentata secondo criteri sociologici che si estende in psicologia ci porta sempre ad aree di mistero, dove sarebbe ridicolo dichiararsi soddisfatti di interpretazioni marxiste o spiegazioni comportamentali o paretiste; con descrizioni pure simili a quelle della storia naturale delle comunità botaniche o animali. (FREYRE, 2002, p. 667-668)

Gilberto Freyre adotterà questa libertà al punto da dire addirittura che non è più esattamente un sociologo, o solo un sociologo. Perché, dal suo punto di vista, la questione più specificamente statistica che spesso ha portato il lavoro nell’area ha lasciato da parte proprio il materiale umano, che sarà il suo obiettivo principale.

La seconda rottura, relativamente visibile nell’estratto precedente, riguarda l’uso di analisi che affrontano specificamente questioni economiche, una tendenza molto forte nel materialismo storico. Con la differenza radicale che Freyre non vedrà nell’economia solo numeri, semplici movimenti di merci o rapporti di lavoro. Freyre parte da ciò che sembra ovvio allo stesso tempo: la formazione brasiliana si basa sullo sfruttamento delle risorse naturali della terra selvatica, in primo luogo, e in secondo luogo dall’inizio della monocoltura, cioè il ciclo della canna da zucchero iniziato nel XVII secolo, e di conseguenza su una struttura di lavoro basata sulla schiavitù, brevemente su aspetti economici che devono essere profondamente conosciuti , ma nel caso di Gilberto Freyre per estrarre da questi dati una base per la comprensione dell’umano, molto più che puramente economica: Freyre sarà interessato alle relazioni sociali che nascono da e intorno alle questioni economiche più evidenti, affrontando anche aspetti direttamente più soggettivi, come la costruzione di affetti all’interno di questo universo.

Il terzo contributo di Gilberto Freyre, forse il più rivoluzionario, nella costruzione di una nuova sociologia fu quello che in seguito divenne una sorta di spada a doppio taglio della sua teoria. Un apprezzamento del nero e della miscegenazione nella società brasiliana0 come mai prima d’ora. È certo che l’abolizionismo del secolo precedente favorirà un discorso per l’uguaglianza razziale che si basava sulla parità di diritti, e che il fenomeno della miscegenazione stessa è stato visto con una condiscendenza che c’era in altre colonie, in particolare le colonie inglesi – che Freyre spiega da una maggiore plasticità dei portoghesi, anche rispetto ai suoi vicini spagnoli , perché i portoghesi stessi sono un popolo molto miscegenato.

L’importanza di questa difesa sta nel fatto che il nella società brasiliana è stato mal visto anche dopo l’abolizione della schiavitù, o anche a causa di un profondo risentimento da parte dei proprietari terrieri schiavisti, che si sono sentiti traditi dall’approvazione della legge. Il fatto è che un discorso di base eugenetica seduce profondamente gran parte dell’intellettualità nazionale, che poneva, sulla base di criteri oggi scientificamente discutibili, la presenza di nero e misceage come elementi di inferiorità nazionale, e riposto speranze nella possibilità di un graduale sbiancamento etnico del Brasile, che finirebbe per sfociare in un graduale sbiancamento della società brasiliana.

Per Gilberto Freyre, l’argomento non è supportato dal fatto che la questione etnica è necessariamente meno importante delle questioni sociali e sociologiche stesse. Per Freyre, la costruzione della società brasiliana è su questioni che si basano molto di più sulla strutturazione dell’economia e, soprattutto, su come la famiglia patriarcale brasiliana emerge intorno a queste basi economiche.

La formazione patriarcale del Brasile è spiegata, sia nelle sue virtù che nei suoi difetti, meno in termini di “razza” e “religione” che in termini economici, di esperienza di cultura e organizzazione della famiglia, che era qui l’unità colonizzante. Economia e organizzazione sociale che a volte contraddicevano non solo la morale sessuale cattolica, ma anche le tendenze avventurose portoghesi sistici verso la mercancia e la tratta. (…) una razza non si sposta da un continente all’altro, sarebbe necessario trasportare con esso l’ambiente fisico. (FREYRE, 2002, p. 129)

L’ideale dell’eugenetica ha guadagnato aderenti tra l’intellettualità e gran parte della società scientifica in tutte le parti del mondo, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo. Il termine eugenetica fu creato da Francis Galton, cugino di Charles Darwin, nelle cui teorie sembrano essere state influenzate, anche se in modo travisato: Darwin credeva in una selezione naturale che sarebbe culminata nella sopravvivenza dei più adattati, mentre Galton credeva che il miglioramento genetico potesse essere favorito – anche quando si trattava della razza umana. Logicamente, quando parliamo di miglioramento, parliamo anche dell’eliminazione delle caratteristiche indesiderabili, al fine di posizionarle all’interno di una determinata specie, è necessario scegliere quali portatori di queste stesse caratteristiche, che, poiché sono portatori, sarebbero inferiori agli altri.

Ma dal punto di vista accademico, e oltre a raggiungere una sintesi del movimento e delle sue conseguenze nella sociologia e nell’antropologia nazionale, vale la pena concentrare l’attenzione sul lavoro di Raimundo Nina Rodrigues. Nina Rodrigues, il cui lavoro precede quello di Kehl, ha basato il suo lavoro sulla catalogazione dei tipi brasiliani e su ciò che considerava le loro caratteristiche principali. Associando dipendenze e crimini alle razze, non esaminando principalmente i fattori economici e sociali in giro, ma piuttosto rendendo questi fattori più conseguenze di quanto non causi, Nina Rodrigues presume che le qualità razziali dipendano dalla purezza degli individui, e che il misceage, il grande punto di origine etnica del Brasile, sarebbe potenzialmente un male. Per Nina Rodrigues non ci sarebbe esattamente una singola razza umana, ma molti, che potrebbero essere collocati gerarchicamente in base alla loro superiorità o inferiorità l’uno rispetto all’altro, e che incroci indiscriminati, che l’autore descrive in modo animalistico, potrebbero potenzialmente portare alla degenerazione della specie o almeno della società che si è comportata con queste unioni. Grosso modo, ogni razza, per Nina Rodrigues, sarebbe avallata da doni specifici e da una profonda incapacità di adattarsi ai doni di altre razze: la civiltà sarebbe il grande dono e destino delle razze bianche, in cui non possono essere seguite da indigeni o neri, che sarebbero, per natura, selvaggi o intrappolati a un livello di socialità tra totemico e feticista.

Il lavoro rivoluzionario di Gilberto Freyre ebbe su queste idee. Sebbene sociologo e antropologo, la sua produzione, che per tutta la sua vita si concentrerà sui temi più vari, è così fortemente interessata alla cultura brasiliana che è persino diventato un fattore decisivo nel rinnovamento del modernismo. La seconda fase modernista sviluppò in Brasile una rivalutazione delle tradizioni regionali, principalmente attraverso Gilberto Freyre, un sociologo arrivato dagli Stati Uniti, dove era stato in studi. Nel 1924 fu creato il Centro Regionalista del Nord-Est e, nel 1926, si tenne il Primo Congresso Brasiliano del Regionalismo. La preoccupazione per la rivalutazione del Nordest è dovuta in parte allo spostamento dell’asse economico e culturale verso sud, quando l’industria saccarifera inizia a diminuire. D’altra parte, il capitalismo senza legami con la regione contribuì alla cattiva caratterizzazione culturale del Nord-Est, la cui economia aveva basi patriarcali e paternalistiche.

Freyre considera, come mai prima d’ora, i fattori economici nella strutturazione della società brasiliana. Tuttavia, non si possono associare correttamente i suoi studi al materialismo storico, specialmente il più propriamente marxista. Freyre ammette che una certa influenza di ciò è venuta, ma dice di essere cauto nella sua applicazione: per lui, il materialismo storico, partendo dall’economia e quasi necessariamente tornando ad esso, finisce per ignorare aspetti importanti nella formazione della società, più propriamente culturali, e che danno allo studio una natura più palpabile e meno arida. L’economia e le sue esigenze sono un punto di partenza del lavoro di Gilberto Freyre, ma non un punto di arrivo o addirittura di ritorno.

I neri, gli indiani e le razze non hanno portato in Brasile, da soli, alcun tipo di degenerazione, ma piuttosto relazioni sociali, derivate da esigenze economiche, l’origine di gran parte dei mali sociali che persistono anche dopo l’abolizione della schiavitù e la proclamazione della repubblica. Un’immagine era stata formata principalmente dal che era coinvolto in pregiudizi derivati dalla colonizzazione: quella sifilide si sarebbe diffusa per origine amerindiana e influenza africana, quando l’origine della malattia è più probabile eurasiatica ed è più probabile, quindi, all’arrivo del colonizzatore portoghese (FREYRE, 2002), che i neri avrebbero sviluppato tutti i tipi di incantesimi erotico-sessuali e incantesimi , quando la maggior parte di questi incantesimi erano ancora di origine portoghese (FREYRE, 2002), che le africane nere sarebbero state libidinose per natura e sarebbero state, dopo le Indie, la grande tentatrice dei coloni bianchi, un fatto negato da molti viaggiatori, che hanno trovato anche tra gli esempi neri estremi di recato (FREYRE, 2002). Accanto a queste queste queste che tengono conto delle abitudini domestiche, il diffuso pregiudizio che, date le minori condizioni intellettuali, i neri sarebbero necessariamente destinati a opere che si basavano sulla forza bruta, quando in realtà gran parte della specializzazione del lavoro nelle terre brasiliane è dovuta all’esperienza tecnica degli africani nella loro terra d’origine. Per quanto riguarda la questione direttamente sessuale, la promiscuità attribuita ai neri avrebbe due origini molto distinte: l’immensa erotismo dei signori inattivi e le relazioni tra vincitori e perdenti che nascono necessariamente dalla forza della colonizzazione e della schiavitù.

Il, secondo Gilberto Freyre, è un elemento plastico che porta i propri contributi culturali e fa, a sua volta, con gli altri contributi di altri popoli approfondire e adattarsi: adotta la religione dei conquistatori e diventa il suo diffusore, aumenta la cucina locale con i propri contributi, ma perfeziona i piatti di altre culture , adotta la lingua portoghese, ma, insieme agli indigeni, fa sorgere questa lingua e riceve diversi contributi nativi che rendono il suono del portoghese parlato in Brasile più canto e piacevole, meno arido di quello proveniente dal Portogallo. Assimilato anche a spese della violenza estrema, entra nella grande casa, nella vita sociale e negli affetti: può essere fatto della famiglia – il meticcio stesso sarà spesso mezzo bianco a causa del sangue del maestro dell’ingegno, che tollera la bastardia meglio che nelle colonie anglosassoni o persino spagnole, e finisce per accettarla. Esempi specifici (la cui importanza e influenza Freyre può esagerare) individuano neri, indiani e meticcio come sacerdoti, insegnanti di alfabetizzazione e importanti membri della società. (Nel caso specifico del sacerdozio, è noto che, con tutte le sue contraddizioni interne, la Chiesa cattolica potrebbe essere abbastanza condiscendente a questo punto). Freyre vuole sottolineare che, rispetto alle modalità di colonizzazione che evitavano e/o condannavano francamente la miscegenazione, c’era tra noi una maggiore possibilità di democratizzazione razziale e di ascensione sociale da parte dell’elemento non bianco (il che non è lo stesso che dire che non c’era razzismo e pregiudizio, che l’autore ha debelicato alla radice, anche se non nella struttura).

Tuttavia, considerando le fasi di accoglienza che accompagnano il lavoro di Freyre nel tempo, non si può dimenticare che, nonostante questi aspetti rivoluzionari, Gilberto Freyre stesso si considerava un conservatore – il che è abbastanza chiaro quando si percepisce il desiderio che permea il suo lavoro: Freyre è confessatamente un beneficiario di quella struttura decadente , e critica, ora con una certa sottigliezza, o direttamente, tutti i progressi del progresso che sembrano minacciare il suo mondo. Freyre non nega esattamente il processo di violenza su cui si basa, ma apre la possibilità di un principio di democratizzazione razziale che in qualche modo mitighi la violenza da cui è costruito.

Freyre, dopo aver difeso con forza l’importanza dell’elemento nero nella costruzione del Brasile, crede e sostiene la costruzione di una democrazia razziale, e che questo modo di democrazia basato sulla miscegenazione, la cui esistenza effettiva più di una volta è stata oggetto di aspre critiche, sarebbe ancora meglio della democrazia tradizionale, il cui discorso è stato rafforzato in Occidente.

L’idea di democrazia sociale e razziale, erede di antiche tradizioni comunitarie, in cui la coesistenza non esclude la gerarchia, è presentata da Gilberto Freyre come una creazione più ricca e legittima (iberica, in particolare luso-brasiliana) rispetto alla moderna democrazia politica. Non solo democrazia politica e, di conseguenza, suffragio universale non hanno sedotto Gilberto Freyre. Anche altri casi culturali identificati con la razionalità borghese lo infastidirono, tra cui l’alfabetizzazione, che – sostiene in un testo del 1923, sull’opera di Agripino Grieco – avrebbe portato a “media” e omogeneizzazione. (SCHNEIDER, 2012, p. 79)

La difficoltà di trovare il tono preciso, l’intenzione di Gilberto Freyre, sta in quanto delle sue dichiarazioni siano per così dire nel caldo dell’ora, compresi gli articoli pubblicati sui giornali. Naturalmente non si può costruire una caccia alle streghe, dimenticare l’eredità del lavoro di Gilberto Freyre o addirittura biasimarla. Così come non si possono, d’altro canto, dimenticare o tralascio le sue numerose contraddizioni. Bisogna capire il lavoro stesso. E curiosamente una delle pietre miliari che meglio possono dare una chiave interpretativa a questo è, appunto, il libro che si è misteriosamente perso.

3. MORTE E DECADIMENTO: IL LIBRO SCONOSCIUTO

Sebbene non sia stato scritto correttamente, si può dire che il libro è presente, quasi ossessivamente nell’ampia Prefazione citata all’inizio, scritta, e probabilmente rivista e riscritta numerose volte, secondo la nota finale dell’autore, tra maggio 1949 e marzo 1961. All’inizio, quindi, si poteva dire poco di questo libro, se non fosse per i commenti anticipati dell’autore, il tono in cui sono espressi e il modo in cui questi estratti dialogano in modo molto forte con i volumi effettivamente pubblicati nella sequenza. Freyre sembra amareggiato, in quanto non sembra verificarsi in altre parti del lavoro in relazione ad altri argomenti. La questione non è il fatto che stia parlando del fenomeno della morte, ma cosa significhi questa morte negli aspetti simbolici. Non era la morte come sembra parlare, ma della morte come un fatto compiuto, così consumato che il motto sono le costruzioni e i rituali che la circondano. Ma prima di tutto l’abbandono che passano queste tracce del passato, sia per quanto riguarda le vecchie residenze per i vivi che in quelle che sono salite ai morti.

Questo decadimento avverrà anche con la residenza dei morti e con la residenza dei vivi. Le residenze dei vivi hanno perso i loro proprietari originali e la loro rispettabilità originale. Un’altra guerra oltre a quella dichiarata a Sobrados e mucambos fu dichiarata patriarcato. In questo primo momento, quando il Brasile inizia a urbanizzare, la strada va in guerra con la casa: è per strada che devono essere costruite le relazioni sociali, e non solo sotto il giogo del patriarcato più rozzo. Questo si difende negli edifici il più solidi possibile, dando il minimo spazio per respirare ai bambini e soprattutto alle donne (sono donne soprattutto ciò che è più custodito in questi edifici), ma nel tempo le finestre si aprivano, il vetro spesso sostituì le persiane, i rituali della strada iniziarono a superare le barriere della casa , ma questa non fu la più grande delle sconfitte subite dall’antico patriarcato: con la graduale caduta delle vecchie famiglie, sono le case stesse che passano ad altri proprietari o ad altri scopi, abbandonate che erano dalle vecchie famiglie. Si degradano in funzioni meno nobili e più generali. O sono solo abbandonati. Lo stesso destino che accompagna le vecchie lapidi.

La tomba monumentale o tomba chiamata perpetua o la semplice fossa contrassegnata da una croce di legno – estensione delle grandi case, dopo le case, le case, le case singole, i mucambos, oggi delle ultime dimore o case puramente borghesi e la casa piccolo-borghese, contadina, pastorella e casa proletaria – è, come la casa stessa, un’espressione ecologica di occupazione o dominio dello spazio da parte dell’uomo. Il morto è ancora, in un certo senso, un uomo sociale. E nel caso di una tomba o di un monumento, il defunto diventa espressione o ostentazione del potere, del prestigio, della ricchezza dei sopravvissuti, dei discendenti, dei parenti, dei figli, della famiglia. La tomba patriarcale, la cosiddetta perpetua, o famiglia, la tomba più espressa è lo sforzo a volte struggente per superare la dissoluzione dell’individuo integrandosi nella famiglia, che si presume eterna attraverso figli, nipoti, discendenti, persone con lo stesso nome. E da questo punto di vista, la tomba patriarcale è, di tutte le forme di occupazione umana dello spazio, quella che rappresenta il più grande sforzo nel senso di permanenza o sopravvivenza della famiglia: quella forma di occupazione dello spazio la cui architettura, la cui scultura, il cui simbolismo continua e addirittura perfeziona quella delle grandi case e delle case dei vivi , ordinando, all’interno di spazi immensamente più piccoli, che coloro che sono occupati da queste case padronali, in sfide per il tempo. (FREYRE, 2002, p. 674-675)

La sfida al tempo è persa, anche perché non potrebbe essere altrimenti. Il tono di Freyre sembra emotivo, senza la distanza che ci si aspetterebbe dal sociologo più tradizionale. Ma Freyre, sebbene conservatore in altri sensi, non è esattamente un sociologo tradizionale, e questa partecipazione del sentimento dell’autore, che praticamente mette la prima persona al posto della terza, qualcosa che accade senza grandi problemi in altri estratti, si riversa nello stile del testo: la differenza è che diversamente da ciò che accade anche in altri momenti altrettanto nostalgici e sentimentali , non è comune questo tono che piange e quasi risuona nel lavoro di Gilberto Freyre. È qui probabilmente l’aspetto conservatore del suo lavoro come dovuto all’aspetto progressista: pensate da un lato alla difesa che il sociologo di Pernambuco aveva fatto al schiavizzato e alle metine; considerare che miscedon è il frutto di gran parte della schiavitù stessa; sarebbe in un primo momento una buona base per la costruzione della società (la meticcio avrebbe sopportato le qualità di tutte le razze invece di portare la loro degenerazione); la società che aveva dato origine a questa costruzione sociale attraverso l’orrore della schiavitù fu infine corrosa dentro e fuori;  un segno allo stesso tempo indiretto e chiaro di questo decadimento è l’abbandono attraverso il quale passano sia le antiche dibodi dei vivi che le antiche dimora dei morti.

Pretese vane. La rovina o il degrado delle case, delle case nobili, delle grandi case, delle tombe più sontuose o delle tombe di famiglia, è così frequente in Brasile che sembra rivelare, in brasiliano, singolare negligenza per quella che era opera o fondamento di un antenato o nonno morto. Che il brasiliano non neghi questo difetto che, agli occhi degli appassionati di Progresso con la P maiuscola, è, forse, come qualità: i morti che non disturbano le attività creative del vivere con le sopravvivenze delle loro creazioni già arcaiche. La verità è che, il patriarcato disintegrato, quelle case, quelle case, quelle tombe, possono essere mantenute solo raramente da una società post-patriarcale o – direbbe il professor Carl C. Zimmermann – “atomistico”, come, nelle sue forme dominanti, gran parte del brasiliano oggi. Il decadimento delle famiglie di tre, quattro, cinque o sei generazioni patriarcali dovrebbe corrispondere a ciò che sta accadendo tra noi: la rovina, per abbandono, di vecchie grandi case di fattoria o di ingegno; o la loro trasformazione in fabbriche, case di cura, caserme, rifugi di fantasmi suburbani o mascalzoni del molo. La trasformazione, inoltre, di vecchie case urbane o suburbane, un tempo abitazioni di famiglie solidamente patriarcali, in ospedali, case popolari, “maialini”, bordelli, scuole, musei, conventi, college, pensioni, alberghi, fabbriche, officine, magazzini, magazzini. (FREYRE, 2002, p. 675)

Di che ora parla esattamente Gilberto Freyre? Gran parte dei suoi dati può essere ricomposta cronologicamente: la documentazione offerta dal sociologo è pofthenand generosa in questo senso. D’altra parte, questo tempo progressivo può essere ingannevole. Perché, “per Freyre, il passato non è mai totalmente dimenticato, ma piuttosto vivo e pulsante, proiettandosi nel presente e nel futuro. Dopo tutto, per lui, il tempo era “tribio”, cioè passato, presente e futuro sono stati continuamente interpenetrati” (OLIVEIRA, 2015, p. 450). Questo è abbastanza sintomatico per la simbologia del decadimento dei centri antichi e anche per le antiche tombe. Il decadimento degli elementi passati si trova in un tempo presente e consente di leggere questo presente in modo diverso, soprattutto se si tiene conto di aspetti tanto cari alla modernità quanto la mancanza di apprezzamento per la permanenza. Il libro perduto sarebbe stato il quarto e ultimo dei dualità esposti da Freyre, ricordando il metodo di composizione dei titoli delle tre opere precedenti. Questo dà conto, ad esempio, della precedenza che Freyre ha dato al al posto dell’indiano, che è stato anche schiavizzato, per la costruzione del primo dei titoli, che mette in evidenza la grande casa e la senzala, più come complementi, inoltre, che come opposizione, ma come complementi di quel dialogo senza evitare un certo conflitto. In questo caso, Freyre ha importato le costruzioni sociali che avrebbero dato origine principalmente al patriarcato del proprietario terriero, cioè a quello che dal ciclo nord-orientale della canna da zucchero avrebbe gettato le basi della famiglia coloniale brasiliana.

Nel prossimo libro, il dialogo si rivelerà un po’ più conflittuale, ma in termini che non appaiono direttamente denunciati dai titoli stessi: il conflitto non si svolgerà direttamente tra la casa, la casa nobile che in qualche modo rappresenta la grande casa rurale, e il mucambo, che è più un contrappunto che un complemento della senzala, anche se in un certo senso è la sua continuazione. Quello che succede è che la contiguità tra la grande casa e la senzala inizia a rompersi. Sebbene i poteri di comando rimangano, e la forza rappresentativa dei signori sia ancora mantenuta, perché nonostante tutto è ancora un paese patriarcale di origine e base, l’urbanizzazione rappresenta già, di per sé, una separazione, una distanza importante tra le due abitazioni precedenti. I poteri rimangono, ma diminuiti. Il simbolismo inizia ad essere compromesso. Il patriarcato rurale della città comincia a mostrarsi una forza anacronica e stagnante. La vera lotta che avrà luogo qui è con la strada, che richiederà un tipo di civiltà più avanzata e più stretta dei modelli europei, e causerà conflitti interni che non si potevano immaginare prima, data la rispettabilità del patriarca.

Per Freyre, erede, beneficiario e difensore del tipo di società così costruita, non è ancora un trauma. L’apertura, per la democratica Freyre, che avviene con il conflitto tra la strada e la casa a schiera è un fattore importante per rendere più malleabile la rigida struttura patriarcale che era iniziata negli ambienti rurali del ciclo della canna da zucchero, che era in decomposizione dall’inizio dell’estrazione mineraria. Questa democratizzazione o rilassamento della società, la democratizzazione, va detto ancora una volta, che avviene in termini molto diversi da quelli che si svolgono in Occidente in generale, hanno un alto punto con l’ascesa sociale dell’elemento bachelor, tipico urbano e cittadino, e la possibilità di ascensione sociale del mulattino, che spesso si concretizzerà sotto la protezione dell’esercito , il soggetto del libro successivo che avrebbe finito la trilogia.

Il trauma, solo indovinabile nel tono di rivolta contenuto dal sociologo di Pernambuco negli estratti che rappresentano un libro perduto, avviene ironicamente in un tempo concomitante con quello della Proclamazione della Repubblica. Il tema del libro perduto rimane nel titolo, l’unica cosa rimasta dell’opera. Apparentemente le tensioni sociali spesso mitigate nelle altre opere, poiché uno degli obiettivi dell’autore era quello di difendere la possibilità di una democrazia razziale, apparirebbero più duramente in quest’ultimo libro, che avrebbe tenuto conto proprio dei rituali di sepoltura, e in un certo modo dei modi in cui i potenti volevano perpetuare i loro nomi dalla sontuosità delle loro ultime dimora , che era inaccessibile ai più poveri, molti dei quali sarebbero ancora neri e meticcio.

Jazigos e covas rasas. Il titolo è stato completamente definito dall’autore e il titolo è definito solo quando si sa esattamente di cosa si intende trattare. Secondo Freyre, sarebbe un volume conclusivo e estenderebbe l’intera discussione sugli antagonismi sociali dalle differenze nei tipi di alloggio nell’ultimo indirizzo. Ma non solo. Freyre intendeva analizzare lo sviluppo e la disintegrazione della società brasiliana (in particolare la famiglia patriarcale), attraverso lo studio dei riti funerario e forse le differenze tra i riti degli strati più ricchi e gli strati più poveri della società, tenendo conto anche dell’influenza dei morti sui vivi o del modo in cui i modi e le usanze , le verità e le regole di coloro che se ne sono andati possono interferire con la vita delle loro famiglie per più di una generazione. Per questo, sottolinea inizialmente le disparità tra la tomba monumentale, o il cosiddetto deposito perpetuo, e la tomba poco profonda, contrassegnata da una croce di legno. (ARAGÃO, 2011, p. 93)

Il dialogo tra le abitazioni per poveri e ricchi collocate nel titolo di Sobrados e mucambos troverebbe, in quest’ultima opera, un contrappunto ancora più brutale e scioccante. L’ultima miseria simboleggiata dalla morte stessa, dalla quale né i ricchi né i poveri possono sfuggire, sembra mascherata, e allo stesso tempo rinviata, ad alcuni e resa ancora più chiara e ineludibile per un’altra: i ricchi nascondono la distruzione della morte costruendo tombe capaci di sopravvivere da diverse generazioni, almeno nell’intento. Per i poveri, la scomparsa sembra già indicata dalla miseria delle tombe poco profonde.

Ma il mantenimento di questo privilegio finale da parte degli ex signori patriarcali dipendeva da una cosa che non poteva essere sostenuta, il mantenimento del loro mondo. Con la loro graduale scomparsa, sia le case dei vivi che quelle dei morti, coloro che un tempo si proteggevano dalla strada e poi sembravano proteggersi dall’indegnità della morte, ora appaiono nella loro miseria di abbandono. A differenza della casa dei poveri e della fossa poco profonda dei poveri, ovviamente, sarà un processo più lento, degradando gli edifici all’inizio più solidi, ma ancora materializzati in un processo inevitabile.

Non si sa, del resto, cosa sarebbe realmente successo al libro perduto di Gilberto Freyre, anche se tutto porta a credere non solo che fosse più che abbozzato, ma che sarebbe stato vicino a una versione finale, per poi finire purtroppo perso. La sua assenza, tuttavia, lo rese in qualche modo il libro sintomatico del suo soggetto. Un libro che parlava del decadimento e della graduale scomparsa di un’intera civiltà finì perduto. In un caso e nell’altro, il peso dell’assenza sembra un’ombra. Il Brasile non è più patriarcale come ai tempi di cui parla Freyre, ma alcuni aspetti di questo patriarcato rimangono presenti, in un modo che potrebbe non essere visto con l’ottimismo di Freyre, e ancora in conflitto con una maggiore apertura della società.In un caso, il passato e il presente che proiettano nel futuro sono assenze fondanti.

CONSIDERAZIONI FINALI

L’opera rivoluzionaria di Gilberto Freyre va vista in un equilibrio generale che ci permette di vedere la profonda rottura che il sociologo di Pernambuco ha operato rispetto alla tradizione precedente, prevalentemente eugenica, che vedeva in nero un elemento inferiore che danneggiava nella costruzione della società brasiliana e nella costruzione dello stesso brasiliano. È vero che, nel tempo, all’interno dell’opera stavano emergendo altre contraddizioni, la più controversa delle quali sarebbe stata la difesa di una democrazia razziale che avrebbe compensato o almeno giustificato il brutale processo di colonizzazione che il Brasile ha attraversato. Va percepito che non potrebbe essere altrimenti per un autore nostalus come Freyre: il sociologo, che si considerava conservatore, nonostante le rotture intellettuali causate dal suo lavoro, desiderava la conservazione e la conservazione di un tipo di società specificamente brasiliana, che si basava sulla costruzione del patriarcato del proprietario terriero e sul suo rilassamento, come l’avvento dell’urbanizzazione , che avrebbe come conseguenza più o meno diretta l’ascesa sociale del mulatto e dello scapolo, in casi specifici nella stessa persona, avendo raggiunto il picco con la proclamazione della Repubblica e l’ingresso nella società dei neri e delle metiglie, da parte dell’esercito, secondo il sociologo, si sono dimostrati un’istituzione razzialmente meno ristretta. La difesa di questo stile di vita o il lamento per la sua scomparsa apparentemente erano ben condensati in un libro già dal titolo molto simbolico: Jazigos e covas rasas, che avrebbero tenuto conto dei rituali di sepoltura dei ricchi e dei poveri. Il libro è stato perso e la sua eco sta solo nelle prefazioni e nelle introduzioni a Sobrados e mucambos e Ordem e progresso. Ma questi echi, e anche questa perdita, rappresentano ancora la nostalgia tradita dall’autore. Nel bene o nel male, e le contraddizioni di Gilberto Freyre se ne rendono conto, il patriarcato che ne è oso, è il decadimento franco e la scomparsa accelerata.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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ARAGÃO, Solange de. “Jazigos e covas rasas: o livro que Gilberto Freyre não escreveu?” In: Oculum Ensaios, n. 13. Campinas. pp. 88-96. Janeiro-junho, 2011.

FREYRE, Gilberto. Casa-grande & senzalaFormação da família brasileira sob o regime da economia patriarcal./Sobrados e mucambosdecadência do patriarcado rural e desenvolvimento urbano. In: Intérpretes do Brasil. Vol. II. Rio de Janeiro: Nova Aguilar, 2002. pp. 121-646/647-1379.

LOPES, Moisés Alessandro de Souza. “A ‘intoxicação sexual’ do novo mundo: sexualidade e permissividade no livro Casa-grande & senzala.” In: Revista Mediações, Londrina, v.8, n.2, jul./dez.2003. pp. 171-189. MARTINS, Wilson. Literatura brasileira. São Paulo: Cultrix, 1973.

MELO, Alfredo César. Saudosismo e crítica social em Casa grande & senzala: a articulação de uma política da memória e de uma utopia. Estudos avançados, 23 (67), 2009. pp. 279-296.

OLIVEIRA, Amurabi. “Do pretexto ao subtexto de Casa-grande & senzala.” Anos 90, Porto Alegre, v. 22, n. 42, p. 449-457, dez. 2015.

RIBEIRO, Renê Salmito. Menino de engenho, Doidinho e Bangüê: aspectos da trilogia de formação de José Lins do Rego. Dissertação de Mestrado apresentada ao Programa de Pós-Graduação em Ciência da Educação da Universidad Del Sol para obtenção do Título de Mestre em Ciências da Educação. Assunción, 2018.

SCHNEIDER, Alberto Luiz. “Iberismo e luso-tropicalismo na obra de Gilberto Freyre.” In: História da historiografia. Ouro Preto. n. 10, dezembro de 2012, pp. 75-93.

SCHWARZ, Roberto. Duas meninas. 2ª ed. São Paulo: Companhia das Letras, 2006.

[1] Master in Scienze dell’Educazione (Universidad Del Sol), Specialista in Gestione e Coordinamento Scolastico (Università Vale do Acaraú), Specialista in Letteratura Brasiliana (Università Statale di Ceará), laureato in Lettere/Portoghese (Università di Fortaleza).

[2] Laurea magistrale in Scienze dell’Educazione.

Inviato: Agosto 2020.

Approvato: Novembre 2020.

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René Salmito Ribeiro

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