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Tipo di legge morale nella critica della ragione pratica

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CONTEÚDO

ARTICOLO ORIGINALE

NETO, Silvio Couto [1], CANDIOTTO, Cesar [2]

NETO, Silvio Couto. CANDIOTTO, Cesar. Tipo di legge morale nella critica della ragione pratica. Revista Científica Multidisciplinar Núcleo do Conhecimento. Anno 05, Ed. 12, Vol. 01, pp. 87-97. dicembre 2020. ISSN: 2448-0959, Link di accesso: https://www.nucleodoconhecimento.com.br/filosofia-it/ragione-pratica

RIEPILOGO

Nel presente lavoro, intendiamo adottare un approccio sulla questione del tipo di diritto morale trattato da Immanuel Kant nel suo lavoro Critique of Practical Reason, cercando un approccio esplicativo a questo punto e, in ciò che viene mostrato possibile, un confronto con il tipo criminale, utilizzato nella teoria del diritto penale; questo perché il tipo di legge morale ha uno scopo simile al tipo di legge morale, cioè quello di consentire la comprensione della legge. La legge morale – totalmente libera dall’influenza di qualsiasi elemento naturale e sensibile, dettata esclusivamente dalla ragione libera e a priori, senza vincoli esterni – può essere compresa, dal tipo attraverso modelli esistenti nel mondo naturale, fenomenali, elementi, quindi, concreti e sensibili.

Parole chiave: ragione pratica, massima, legge morale, tipo morale, Kant.

1. INTRODUZIONE

Immanuel Kant, nato in Prussia (l’attuale Germania) il 22 aprile 1724, è uno dei pensatori più conosciuti e rispettati nella storia della filosofia, e un’icona della filosofia moderna; questo pensatore fu in grado di delimitare i limiti della ragione nel momento in cui visse, eseguendo una sintesi tra razionalismo ed empirismo. La filosofia di Kant dimostra ciò che la ragione può conoscere o meno, da una postura critica, superando l’allora esistente dicotomia tra le scuole menzionate (empirismo e razionalista). A tal fine, il pensatore prussiano indaga ciò che l’essere umano razionale è in grado di sapere; cosa devi fare per raggiungere questa conoscenza; cosa ci si può aspettare (in un’analisi della speranza, o anche del rapporto umano con la religione); e infine qual è l’essere umano. Quest’ultima questione finisce per essere un’unione delle prime tre questioni e, quindi, una questione fondamentale.

Il pensiero complesso di Kant, tuttavia, non è facile da capire, richiede un intenso studio e riflessione per raggiungere la sua profondità e acuità. Pertanto, questo lavoro mira a collaborare con questo compito, aggiungendosi agli altri studi già esistenti sulla filosofia kantiana, in particolare, cercando di far luce sulla questione del tipo di legge morale nella forma trattata da Immanuel Kant nella sua opera Crítica da Razão Prática (2016).

Nel 1781 Kant pubblicò la Critica della Ragione Pura, – forse l’opera più famosa di questo filosofo – in cui analizza la ragione, nella sua caratteristica di soggettività e capacità di comprendere i fenomeni che si presentano ad essa attraverso i sensi e che, in questo modo, sarebbero stati i suoi oggetti di conoscenza. D’altra parte, in un’analisi metafisica, studia quello che chiama nuptum, che non si presenta mai ai sensi, ma emerge dal pensiero puro; capisce che il numenos può anche essere l’oggetto della ragione metafisica. Nelle parole di Bonaccini (2012, p. 73), “la metafisica ha sempre sollevato la pretesa di conoscenza al di là dell’esperienza (cioè, a priori, conoscenza puramente razionale)”.

Questo lavoro kantiana – Critica della ragione pura – analizza in breve quale ragione è capace, cosa può o non può sapere e come può farlo. Con la critica, considera come la conoscenza stessa possa essere compresa e, attraverso la dialettica trascendentale, consente di conoscere anche idee che non hanno possibili aspetti di essere catturate dai sensi, vale la pena dire che non si presentano al apprezzabile pensiero. Così, per esempio, l’idea di Dio o dell’anima non si presenta ai sensi, ma solleva interrogativi; tali domande non possono essere risolte dal criterio della ragione, ma possono essere analizzate attraverso l’uso della dialettica trascendentale, aprendo questo spazio, anche, all’uso della fede.

D’altra parte, il lavoro che è direttamente collegato all’oggetto di questo testo, La critica della ragione pratica, ha un approccio legato alle questioni etiche, è stato pubblicato nel 1788, quindi, più tardi che ha commentato sopra. In quest’opera, Kant afferma che, libero dalle condizioni che limitano la conoscenza, l’essere umano deve dedurre i principi etici della propria ragione, che saranno quindi necessari, universali e non vincolati dai sentimenti personali o culturali. Tali principi sono universalmente imposti a tutti, in qualsiasi momento e in qualsiasi condizione; ragione pratica, in tal modo, acquisisce un carattere di donazione di legge, concede la legge morale. Perin (2018, p. 202) afferma alla lettera che

Ciò che Kant dà per scontato nella Critica della ragione pratica congetturando una strategia metodologica per la giustificazione dell’uso pratico della ragione è che non può più essere intrapresa attraverso un passaggio tra i domini teorico e pratico. Pertanto, sia la proposta che lo sviluppo e, inoltre, il risultato dell’argomentazione di questo lavoro sostengono proprio la necessità che nel settore pratico stesso sia legittimata una legislazione pratica incondizionata e, inoltre, che le conseguenze costitutive di questa impresa legittimazione abbiano la loro validità limitata alla portata intrinseca dello stesso settore.

Così, nel contesto dell’uso della ragione pratica, e nel suo aspetto legislativo, Kant si riferisce alla questione del tipo di legge morale, che ha lo scopo di spiegare o, almeno, facilitare la sua corretta comprensione, usando un ragionamento che utilizza un’analogia inversa al tipo di diritto penale.

2. L’USO DELLA RAGIONE PRATICA

Per raggiungere il punto desiderato in questo testo, è indispensabile una rapida esposizione sugli antecedenti logici riguardanti il tipo di legge morale e la legge morale stessa, contenuta nella Critica della Ragione Pratica, pena l’incomprensibile il punto a coloro che non hanno alcuna familiarità con il soggetto.

Nello squisito lavoro sopra menzionato – Critica della ragione pratica, Kant espone e analizza la possibilità dell’uso pratico della ragione, dispensando e persino rifiutando l’influenza di qualsiasi condizione empirica e sensibile, per la sua formazione; in questa funzione la ragione è legislatore e quindi autore della legge morale.

Il pensatore nell’analisi dimostra che la ragione, nel suo uso pratico, è responsabile della determinazione generale della volontà dell’essere razionale. Essendo collegato alla facoltà del desiderio, la ragione considerata come intenzione non è sempre universale. Kant dimostra che questa volontà dell’essere razionale, a sua volta, sarà determinata da principi, che daranno origine a massime, cioè regole soggettive, valide solo per la volontà di un dato soggetto. Alti o imperativi ipotetici sono quindi principi, ma non sono imperativi.

La volontà condizionata dalla ragione pratica può anche cedere il posto a leggi oggettive, universalmente valide e che devono guidare la volontà di ogni essere razionale, indipendentemente dalle condizioni soggettive che contraddistinguono ciascuno di questi esseri. Queste leggi saranno sempre praticamente corrette, e saranno quindi categoriche, e dovrebbero sempre, si ribadisce, guidare la volontà dell’essere razionale, indipendentemente dalla possibilità causale di ottenere, in pratica, un certo effetto desiderato, poiché il risultato finale appartiene al mondo sensibile e non dovrebbe essere preso in considerazione per questa valutazione. Secondo Le parole di Perin (2018, p. 212), “Kant sostiene che la legislazione pratica, a condizione che sia incondizionatamente decisiva della volontà e quindi valida per gli esseri razionali in generale, possa essere concepita solo come autonomia di volontà”.

L’imperativo categorico per Kant è incondizionato, richiedendo che si agisca sempre secondo la legge morale (mentre, l’imperativo ipotetico sarebbe quello condizionale, quando si desidera un certo effetto). Così, come afferma Ribeiro (2019, p. 32),

Kant sostiene che la legislazione pratica, a condizione che sia incondizionatamente decisiva della volontà e quindi valida per gli esseri razionali in generale, può essere concepita solo come autonomia della volontà, cioè come “[…] che la sua proprietà grazie alla quale è per se stessa la sua legge (indipendentemente dalla natura degli oggetti della volontà)”.

Continuando il suo ragionamento, Kant dimostra che il piacere o il dispiacere, il piacere della vita, sono soggettivi e non possono essere conosciuti a priori, quindi, il principio che si basa su questa condizione soggettiva può essere una massima, ma mai una legge.

Le regole pratiche materiali che danno origine alle capacità desiderate, come il piacere o il dispiacere, sono inferiori, essendo necessari i vincoli esclusivamente formali della volontà di sorgere le possibilità di desiderare superiore, senza alcuna interferenza del piacevole o sgradevole, piacere o dispiacere. Nelle parole di Kant, senza essere subordinato alla “facoltà del desiderio patologicamente determinabile”. (KANT, 2016, p. 41).

Di tutto si conclude che, per Kant, solo la pura ragione pratica, senza l’interferenza di alcun sentimento, può essere legislatore. Il filosofo afferma anche che solo il libero arbitrio, vale la pena dirlo, la libertà della volontà di obbedire solo alla legge morale, senza alcun condizionamento empirico, dei fenomeni e della causalità esterna, può essere considerata quella che egli chiama libertà trascendentale.

Essa afferma che la conoscenza dell’incondizionatamente pratica non può tuttavia iniziare con la conoscenza della libertà, perché l’essere razionale finito non è immediatamente consapevole di questa libertà, anzi, inizia con la creazione di massime, quindi, determinazioni personali, che si presentano principalmente all’individuo e che la ragione ci fa capire che non possono essere superate da alcuna condizione sensibile, di cui sono indipendenti e , mostrandosi così nella condizione di raggiungere il livello della legge morale. Solo allora la ragione ti fa capire che hai la libertà di agire secondo la legge morale.

Poiché la rivendicazione della legislazione kantiana è l’universalità, un estratto del lavoro in esame è considerato uno dei migliori esempi del suddetto imperativo categorico. Questa espressione, che non ha alcun contenuto materiale, ma solo un orizzonte formale è quello che afferma: “Agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre essere valida contemporaneamente al principio della legislazione universale”. (KANT, 2016, p. 49).

Pertanto, la ragione come pura volontà, senza alcun condizionamento, senza l’aiuto dell’esperienza o della volontà esterna, che determina la volontà a priori sotto forma delle sue massime, è legislatore.

La consapevolezza di questa legge fondamentale, che si impone come una proposizione sintetica a priori, che non si fonda su alcuna intuizione” può essere definita, secondo l’autore, un dato di fatto. E completa il filosofo affermando che è un fatto di pura ragione che viene annunciato come originariamente un legislatore. (KANT, 2016, p. 51).

Questa pura ragione pratica, secondo Kant, fornisce all’uomo una legge universale che è stata parlata sopra, che egli chiama una legge morale, valida per tutti gli esseri razionali in grado di determinarne la causalità attraverso la coscienza delle regole; diritto morale è quindi un imperativo categorico. In questa condizione, l’imperativo categorico è incondizionato in relazione all’uomo, che ha, in relazione a Lui, un vincolo di obbligo, di dovere, per cercare di avvicinarsi, in infinito progresso, a quella che Kant chiama santa volontà. Questo imperativo categorico guiderà le sue massime, alla ricerca della virtù, il punto più alto che può essere raggiunto dall’essere razionale finito.

La produzione del diritto morale per pura ragione pratica è la dimostrazione dell’autonomia, della pura volontà, della libertà in senso positivo, in cui tutte le massime prodotte dall’individuo si allineano al diritto pratico.

Al contrario, se nella produzione delle loro massime l’individuo lascia influenzare qualsiasi tema legato al desiderio, volendo, contaminerà le sue massime per eteronomia, vale la pena dirlo, eliminando la purezza delle sue massime, che non creeranno alcun obbligo, al contrario, si opporrà alla legge morale.

Kant cita come esempio che nemmeno la felicità degli altri esseri, la felicità di tutti, può essere posta come condizione di una massima, senza rivendere la sua autonomia e impedirgli di diventare legge; questo è il caso, perché dipenderebbe da un oggetto da ricercare in condizioni empiriche, dipenderebbe dall’esperienza e dall’opinione di ogni individuo, e quindi non può applicarsi obiettivamente a una regola necessaria e universale. Come il massimo consiglia, la legge morale comanda e obbedienza questo comando è sempre alla portata della possibilità di tutti gli esseri razionali.

Nel dedurre i principi della pura ragione pratica, l’autore dimostra che il mondo della natura è sempre governato dalle leggi ed è diviso in due sfere: la supersensibile, che sarebbe di natura archetipica, esistente sotto l’autonomia della pura ragione pratica, indipendentemente dall’empirismo, la cui legge massima è la legge morale, che, tuttavia, il suo equivalente deve esistere nel mondo sensibile, nella natura sensibile degli esseri , governato da leggi empiricamente condizionate, o tromasoni contenenti l’effetto del primo, la natura ectipico.

Quindi, idealmente, se la capacità fisica esistente nel mondo sensibile fosse adeguata, l’obbedienza alla legge morale produrrebbe il pozzo alto[3].

Continuando nelle sue lezioni, Kant dimostra che la ragione pratica è la possibilità di rappresentare un oggetto, come possibile effetto della libertà, la possibilità o l’impossibilità di volere l’azione con cui l’oggetto sarebbe reso possibile in assenza di capacità di farlo. Questa capacità fisica di ottenere l’oggetto è indifferente, l’importante è sapere se la legge morale ci autorizza a volere questo oggetto, in modo che il fondamento della determinazione non sia l’oggetto, ma la legge morale.

In questo modo, gli unici oggetti possibili di una ragione pratica sono il bene e il male. Il bene come oggetto necessario, perché non è possibile ragionare per non volere il bene e, in secondo luogo, il male, solo come negazione del bene. E questo bene dovrebbe essere buono di per sé, indipendentemente dal giudizio delle buone conseguenze, che è limitato alla percezione dai sentimenti dei singoli soggetti. In altre parole, per Kant il bene non può essere una mera conseguenza, ma creato dalla libertà volitivi.

Questo bene, dunque, deve essere determinato dalla volontà autonoma perché

la legge determina immediatamente la volontà, l’azione che è secondo la legge è buona di per sé, e una volontà il cui massimo è sempre secondo questa legge, è assolutamente buona, in tutti gli scopi, ed è la condizione suprema di tutto il bene. (KANT, 2016, p. 90) – Grifoni originali.

Egli spiega poi che il bene e il male sono modi di un’unica categoria, quello della causalità, una vera dimostrazione della libertà della ragione, che si è così dimostrata pratica.

3. DEL TIPO DI LEGGE MORALE

Dopo quanto sopra, dove si intendeva introdurre il pensiero di Kant sulla legge morale, in modo molto esquematico e senza pretese di grande profondità, solo per permettere una certa comprensione a coloro che non conoscono l’opera analizzata, ora cerchiamo, anche con lo scopo di esposizione illustrativa, di affrontare la questione del tipo di legge morale trattata dall’autore nella Critica della Ragione Pratica.

Prima di analizzare le lezioni dell’autore sulla questione, un parallelo viene utilizzato qui come mezzo di spiegazione semplificata; è, quindi, utilizzare il concetto di tipo usato nella dottrina criminale, quindi, di tipo criminale, per cercare di facilitare la comprensione del tipo di legge morale in Kant.

Si tratta, ovviamente, di cose diverse. Il tipo di legge morale cerca di permettere la comprensione del comandamento per un’approssimazione del raggiungimento del bene, dettata esattamente dalla legge morale, emanata dalla pura e libera ragione; al contrario, il tipo criminale, derivante dall’ordinamento giuridico positivo, ha la possibilità di fissare e chiarire i comportamenti vietati dal diritto penale in un determinato momento e luogo. Si ritiene, tuttavia, che l’analisi comparativa possa essere in qualche modo fattibile per scopi puramente didattici, facilitando la comprensione del tipo di legge morale.

A tal fine, si ricorda che il tipo criminale è, grosso modo, una proposizione astratta, una regola astratta, alla quale una certa condotta concreta può eventualmente essere riassunta, perfezionando così la figura dell’illecito che era, si ribadisce, solo astrattamente in quella regola contenuta. Serve, quindi, a comprendere il comandamento contenuto nel diritto penale, che si trova in un mondo normativo e che può essere realizzato nell’universo sensibile.

In altre parole, il tipo penale è la disposizione giuridica e la descrizione ragionevolmente accurata di un comportamento vietato, che a volte può essere più semplice o più complesso, con tutti gli elementi e le circostanze di tale comportamento, che, tuttavia, non sono il comportamento in sé; al contrario, si tratta di una mera descrizione giuridica di un possibile comportamento, che esiste solo nella concezione e idealmente, non concretamente. Pertanto, il tipo criminale è la “norma giuridica [que] prescrive imperativi del dovere da definire sotto forma di divieti, mandati e permessi di azioni dirette all’uomo” (SANTOS, 2017, p. 58).

La condotta umana può alla fine opporsi alla pratica di azioni comandate o, al contrario, esercitando azioni proibite, per adattarsi, ora in concreto, a quella regola che un tempo esisteva in astratto, migliorando, quindi, il fatto tipico.

Allo stesso modo – anche se con la differenza di fondamentali già menzionata in precedenza – la legge morale ha solo la libera ragione di darne origine; questa libera ragione, tuttavia, non fa parte del mondo della natura sensibile e, anche così, la legge morale dovrebbe, almeno idealisticamente, essere applicata a oggetti di tale natura. Come rivela Kant, il tipo di legge morale permette che ciò che è stato detto nella regola universale, in astratto, sia osservato in un oggetto nel concreto. Nelle parole di Mathias Netto (2020, p. 105), il tipo di legge morale dice: “Chiediti se l’azione che proieti, nel caso in cui ciò accada secondo una legge della natura di cui tu stesso farei parte, potrebbe ancora considerarla possibile per tua volontà”.

In questo modo, il tipo di legge morale deve consentire la comprensione dell’essere razionale finito, attraverso oggetti concreti – quindi, che si trovano nel mondo della natura e che si presentano ai sensi attraverso le loro forme – ciò che è comandato dalla legge. In questo modo, si può dire, in particolare, che una Chiesa può essere presa come un tipo esistente in natura che consente una migliore comprensione dell’idea della legge sul bene.

Proprio come nel tipo criminale la descrizione astratta del comportamento non è di per sé illecita, anche qui, nel tipo di diritto morale, la possibilità di subdurre un’azione pratica o un oggetto del mondo sensibile a una pura legge pratica, non fa sì che l’azione avvenga effettivamente o sia legata al mondo sensibile, è, infatti, solo un’illustrazione che facilita la comprensione.

Come insegna Kant,

la legge morale non ha altra facoltà di conoscenza per mediare l’applicazione di questa legge agli oggetti della natura, se non la comprensione (non l’immaginazione), che può porsi sotto un’idea di ragione, non uno schema di sensibilità, ma una legge che dipende dal potere di giudicare, e una legge che può essere presentata in concreto negli oggetti dei sensi e , quindi una legge della natura, ma solo secondo la sua forma, e possiamo chiamarla, quindi, una sorta di legge morale. (KANT, 2016, p. 98)

Così, l’applicazione, l’uso o, per esprimere più precisamente, l’osservazione del tipo di legge morale, facilita la comprensione da parte dell’essere umano, razionale cioè del comandamento di questa legge, attraverso l’osservazione di simboli concreti.

4. CONSIDERAZIONI FINALI

Con l’attuale esposizione e confronto del concetto di tipo di diritto penale, appropriato in modo striato dalla teoria del tipo criminale nella rispettiva dottrina, con il tipo di legge morale, dalla forma esposta da Kant nella Critica della Ragione Pratica, era inteso a facilitare la comprensione di quest’ultima.

Questo sembra possibile perché c’è una somiglianza tra questi tipi, anche se dentro e fuori, iniziando il primo – di tipo criminale – dall’astratto per illustrare il concreto e il secondo – tipo di legge morale – facendo la strada opposta, lasciando il concreto e rendendo possibile realizzare l’idea contenuta nella ragione astratta.

La somiglianza tra le cifre comparative è, come dimostrato, che entrambi si prestano a rappresentazioni. Nel primo caso, il tipo criminale, ha il carattere di utilizzare simboli astratti per la comprensione del concreto; vale la pena di dire che il diritto penale si basa su descrizioni astratte della condotta umana per indurre l’interprete a comprendere le situazioni concrete che gli vengono sussume. Nel secondo caso, in relazione al tipo di legge morale kantiana, avviene esattamente un’operazione di razionalizzazione inversa: l’essere umano razionale deve, dall’osservazione di simboli concreti, oggetti esistenti in natura e catturati dai sensi, usarli come modelli per la comprensione dell’astratto, cioè della legge morale.

RIFERIMENTI

BONACCINI, Juan Adolfo. O argumento da estética e o problema da aprioridade: ensaio de um comentário preliminar. In: Comentários às obras de Kant: Crítica da Razão Pura. Joel Thiago Klein (Org.), Florianópolis: NEFIPO, 2012 – pp. 71 – 144.

KANT, Immanuel. Crítica da razão prática. Tradução de Monique Hulshof. Petrópolis: Vozes, 2016.

MATHIAS NETTO. Jayme. A função da imaginação: resolução da típica da lei moral em Kant. In: Polymatheia Revista de Filosofia, Universidade Estadual do Ceará – UECE, v. 6, nº. 9, 2013 – pp. 91 – 108.  Disponível em:  <http://seer.uece.br/?journal=PRF&page=article&op=view&path%5B%5D=520&path%5B%5D=585>. Acesso em: 20 abr. 2020.

NASCENTES, Zama Caixeta. O sumo bem na filosofia prática de Kant. Orientador: Vinícius de Figueiredo. Dissertação (Mestrado). Universidade Federal do Paraná, Curitiba, 2004. Disponível em: <https://acervodigital.ufpr.br/bitstream/handle/1884/34740/R%20-%20D%20-%20ZAMA%20CAIXETA%20NASCENTES.pdf?sequence=1&isAllowed=y>. Acesso em: 14 fev. 2019.

PERIN, Adriano. Kant e a estratégia metodológica da crítica da razão prática. In: Revista Dissertatio de Filosofia, Universidade Federal de Pelotas-RS – UFPel, nº 29, Pelotas-RS, 2009 – pp. 201 – 225. E-ISSN 1983-8891. Disponível em: <https://periodicos.ufpel.edu.br/ojs2/index.php/dissertatio/article/view/8828/5836>. Acesso em 18 out. 2018.

RIBEIRO, Elton Cândido. Kant e o fundamento da moralidade: um estudo da dedução do imperativo categórico em GMS III. Orientador: Mario Ariel González Porta. Dissertação (Mestrado). Pontifícia Universidade Católica de São Paulo – PUC-SP. Disponível em: https://tede2.pucsp.br/bitstream/handle/18785/2/Elton%20Candido%20Ribeiro.pdf>. Acesso em 27 abr. 2019.

SANTOS, Juarez Cirino dos. Direito penal: parte geral. 7ª ed. rev., atual. e ampl. Florianópolis: Empório do Direito, 2017.

APPENDIX – RIFERIMENTO NOTA

3. È importante notare che il “buon sumo”, per Kant, è, come dice Nascentes (2019, p. 8), “la possibilità della connessione sintetica tra felicità e moralità, questa come condizione per diventare degni di questo”

[1] Dottorato in corso presso la Pontificia Università Cattolica di Paraná – PUC-PR, Scuola di Educazione e Lettere – Programma di Laurea in Filosofia; Laurea magistrale in Scienze Sociali Applicate presso l’Università Statale di Ponta Grossa; Specialista in Diritto Processuale Penale presso PUC-PR e laureato in Giurisprudenza.

[2] Advisor. Dottorato in Filosofia. Laurea magistrale in Scienze dell’Educazione. Miglioramento della ricerca. Laurea in Teologia. Laurea in Teologia.

Inviato: novembre 2020.

Approvato: dicembre 2020.

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Silvio Couto Neto

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