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L’insegnante come soggetto fondante di un discorso

RC: 141588
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DOI: 10.32749/nucleodoconhecimento.com.br/formazione-it/insegnante-come-soggetto

CONTEÚDO

ARTICOLO ORIGINALE

ASSOLINI, Filomena Elaine Paiva [1], GARRIDO, Caio [2], BARTHOLOMEU, Josiane Aparecida de Paula [3]

ASSOLINI, Filomena Elaine Paiva. GARRIDO, Caio. BARTHOLOMEU, Josiane Aparecida de Paula. L’insegnante come soggetto fondante di un discorso. Revista Científica Multidisciplinar Núcleo do Conhecimento. Anno. 07, Ed. 07, Vol. 04, pp. 45-66. Luglio 2022. ISSN: 2448-0959, Link di accesso: https://www.nucleodoconhecimento.com.br/formazione-it/insegnante-come-soggetto, DOI: 10.32749/nucleodoconhecimento.com.br/formazione-it/insegnante-come-soggetto

RIEPILOGO

Fondare un discorso implica pensare con la propria testa ed essere un autore non interdetto da una precedente struttura di potere. Pertanto, questo articolo adottato come un iste centrale: in che modo la struttura di potere influenza la costruzione del proprio pensiero, specialmente nella costruzione di un discorso pedagogico da parte dell’insegnante? Mirando non solo a cercare la risposta a questa domanda e comprenderla, ma anche, dai concetti di soggetto e autorialità, a pensare a come le letture e le affiliazioni del discorso e del significato creano o impediscono l’esistenza di un pensiero proprio e svincolato da una mera struttura di potere. Pertanto, per la ricerca, i campi teorici di affiliazione erano l’Analisi del Discorso (AD), la teoria socio-storica dell’alfabetizzazione e la psicoanalisi freudo-lacaniana. Inoltre, c’è stato un sondaggio condotto con circa 35 insegnanti di materie che insegnano nelle scuole pubbliche statali e municipali di Ribeirão Preto e delle città vicine, che sono stati intervistati, producendo dichiarazioni orali e scritte. Così, i risultati hanno mostrato che a volte prevaleva l’identificazione dell’insegnante con un discorso socio-pedagogico storicamente costituito, dove prevaleva la presenza del dispiacere nelle attività, in quanto guidate da imposizioni istituzionali, e talvolta prevaleva l’interpretazione e la produzione di significati e (ri)significati da parte dell’insegnante-soggetto, autorizzandosi nei loro detti. Così, si è constatato che la conoscenza e il diritto all’interpretazione (alla lettura) non sono condivisi, ma sono distribuiti socialmente e storicamente in modo non omogeneo. Pertanto, dato il modo in cui l’interpretazione è amministrata istituzionalmente, la paternità ne è influenzata. Cioè, per poter occupare la posizione dell’autore, è necessario avere il diritto e la possibilità di occupare diversi luoghi di interpretazione, di muoversi intorno ad essi e di costituirsi come interprete. E ancora di più, come interprete-storicizzato.

Parole chiave: Soggetto, Parola, Sensi, Significazione, Risignificazione.

1. INTRODUZIONE

Lo sviluppo di questo articolo si basava sulla domanda fondamentale: in che modo la struttura di potere influenza la costruzione del proprio pensiero, specialmente nella costruzione di un discorso pedagogico da parte dell’insegnante? Pertanto, l’obiettivo non è solo cercare la risposta a questa domanda e comprenderla, ma anche, dai concetti di soggetto e autorialità, pensare a come le letture e le affiliazioni del discorso e del significato creano o impediscono l’esistenza di un pensiero proprio e slegato da una mera struttura di potere.

Detto questo, per pensare a come è strutturata l’affiliazione tra certe reti di discorso e significato, è necessario pensare discorsivamente alle circostanze più ampie dell’enunciazione nel contesto socio-storico, culturale e ideologico e nelle condizioni di produzione del contesto immediato in cui si verificano i nostri detti, avendo la comprensione che l’immaginario è necessariamente parte del funzionamento del linguaggio. È necessario comprendere che il significato non esiste di per sé, ma è determinato dalle posizioni ideologiche messe in gioco nel processo socio-storico in cui le parole vengono prodotte, comprendendo che cambiano a seconda delle posizioni occupate da coloro che le impiegano. Cioè, c’è un fattore di identità in gioco lì.

In considerazione di ciò, questa ricerca si è basata sul concetto di memoria discorsiva – Pêcheux (1999) e Orlandi (1999) – negli scritti di Charlot (2000, 2005) sul rapporto del soggetto con la conoscenza, nonché sulla concettualizzazione lacaniana secondo cui gli eventi traumatici, quando ripetuti, possono essere riscritti in esperimenti successivi (aprés-coup), per sostenere, nel contesto di questo problema, che la memoria non si spegne, ma si aggiorna nel discorso e continua a produrre e riverberare significati.

Dal punto di vista discorsivo, la storia è intesa come un intreccio di significati, che non si confonde con la cronologia dei fatti, ma che è definito come la produzione di significati sul reale, che determina questa cronologia, intervenendo nella costituzione dei soggetti e nel funzionamento del linguaggio.

Esercitare l’insegnamento in modo responsabile implica la comprensione che i significati della società postmoderna sono costituiti da relazioni di potere.

Si difende quindi l’importanza che un insegnante-soggetto sia un interprete-storicizzato, diventando un soggetto che produce significati capaci di interpretare il mondo svincolato dai sensi imposti da certe strutture di potere preesistenti. È una condizione fondamentale per questo professionista, poiché ha la responsabilità e la sfida di educare bambini e giovani nella società contemporanea, caratterizzata da ininterrotte e rapide trasformazioni socio-storiche, culturali, scientifiche e tecnologiche. Così, «il concetto di interprete-storicizzato […] si basa sui postulati dell’AD e anche, nella prospettiva discorsivo-decostruttivista, proposta da Coracini (2003, 2010)”, (ASSOLINI, 2018).

Quindi, si comprende che, concepire la lettura come interpretazione, come propongono Pêcheux (1997) e Coracini (2014), è possibile contrastare l’idea di lettura intesa come decodifica, che è quella che cerca solo significati già noti e legittimati.

Segnare questa opposizione significa offrire preziose opportunità per riverberare altri significati in classe e a scuola, ai quali non sono stati posti limiti derivanti da formazioni ideologiche, dove domande e giochi con il linguaggio e neologismi formulati dai bambini stessi, ad esempio, di solito non vengono ascoltati, riconosciuti e tanto meno valorizzati.

Si può visualizzare la questione del riconoscimento e dell’apprezzamento della creazione del linguaggio da parte dei bambini nel seguente esempio: un bambino di due anni, quando sente il suono della scarica nel bagno, formula il seguente neologismo a sua madre: “Ciao cacca”. Ripetuto in altre occasioni, acquisisce lo status di creare una nuova parola, perché è chiaro che il bambino comprende quell’espressione come un sostantivo, producendo così nuovi significati. Nuovi sensi, perché l’azione che in precedenza era presentata solo come un “dare la scarica”, ha acquisito un contorno affettivo e simbolico completamente nuovo per il bambino. Quindi, poiché questa nuova denominazione non è preclusa, questo movimento diventa un modo per uscire dai circuiti legittimi del diritto al discorso di sé. Il che ci fa avere molto da imparare dai bambini.

Il discorso, sempre prodotto in uno spazio di reti e affiliazioni socio-storiche, mantiene sempre una relazione con altri detti e, quindi, non è un’entità omogenea.

In questo contesto, le analisi indicano che i soggetti-insegnanti, le cui memorie discorsive mettono in relazione affetti positivi con le loro esperienze con la lettura, sviluppano pratiche pedagogiche che consentono allo studente di occupare la posizione di un soggetto che osa produrre significati, il che è un grande passo, perché, come dimostrato in altri studi (ASSOLINI, 2003, 2013), nella scuola elementare ancora in vigore il DPE[4] (Discorso Pedagogico Scolastico) tradizionale, che impone allo studente la condizione di ripetitore di significati che influenzano poco o significati con cui non si identificano.

Tuttavia, d’altra parte, le esperienze di lettura associate al dispiacere, all’interdizione, alle situazioni obbligatorie e difficili, quando non risignificate, contribuiscono all’identificazione della insegnante-soggetto con le formazioni discorsive predominate dai dettami del DPE tradizionale, coprendo i presupposti che esiste il modello ideale di essere umano, con determinate virtù intellettuali, fisiche e morali; e che la materia-insegnante è il centro del processo di insegnante-soggetto, dove a volte finisce per assumere un discorso autoritario e aggrapparsi alla riproduzione di pratiche didattiche arcaiche, considerate indiscutibili.

Casi come questo, in cui l’insegnante-soggetto è ancorato al DPE e all’autoritarismo che ne deriva, porta alla riflessione il fatto che la conoscenza non è condivisa, ma socialmente distribuita. Si può dire che fin dal Medioevo, come nell’antichità greca (società ellenistica), c’era una netta separazione tra coloro che avevano accesso ai beni culturali e coloro che potevano solo alam e idolatrarli. Da questo punto di vista, Certeau (1999) afferma che

A utilização do livro por pessoas privilegiadas o estabelece como um segredo do qual somente eles são os “verdadeiros” intérpretes. Levanta entre o texto e seus leitores uma fronteira que para ultrapassar somente eles entregam os passaportes, transformando a sua leitura (legítima, ela também) em uma “literalidade” ortodoxa que reduz as outras leituras (também legítimas) a serem apenas heréticas (não “conformes” ao sentido do texto) ou destituídas de sentidos (entregues ao ouvido). (CERTEAU, 1999, p. 255).

In altre parole, è necessario svincolare l’idea che esista una vera interpretazione, o il vero interprete e scollegarla dalle posizioni di potere, che sarebbero le posizioni autorizzate a parlare, a dirigere un discorso e ad avere una vera rilevanza rispetto a ciò che dice.

Occupare questa posizione, quella di soggetto storicizzato dall’interprete (ASSOLINI, 2003, 2013), cioè quella di un soggetto autorizzato a parlare, a produrre altre letture e a raccontare storie, contribuisce all’apprendimento del insegnante-soggetto che può stabilire con relazioni di lettura caratterizzate non dall’interdizione, ma dalla comprensione che i sensi non sono finiti, limitato e molto meno evidente.

A questo proposito, quando parliamo di interdizione, parliamo di censura, poiché è il “[…] divieto dell’iscrizione del soggetto in certe formazioni discorsive, cioè certi significati sono proibiti perché al soggetto è proibito occupare certi luoghi, certe posizioni” (ORLANDI, 1992, p. 107).

Quando l’insegnante si permette di raggiungere il luogo di produttore di significati, essendo in grado di trasgredire il luogo definito da una precedente struttura di potere, inizia a occupare la posizione dell’insegnante, che, di conseguenza, riconosce gli studenti come soggetti, che hanno il diritto di occupare il posto di interpreti.

In questo contesto, i meccanismi di produzione dei sensi implicano una relazione simbolica del linguaggio con l’immaginario, in un processo in cui le diverse formazioni discorsive si allineano in rete ai sensi e ai soggetti.

2. PRESUPPOSTI TEORICI: CONCETTI CENTRALI

Per questa ricerca, i campi teorici di affiliazione sono stati l’Analisi del Discorso (AD) della matrice francese (Pecheuxtian), la teoria socio-storica dell’alfabetizzazione e la psicoanalisi freudo-lacaniana.

In questo aspetto, The AD promuove spostamenti significativi nei modi di leggere (interpretare) e analizzare il testo e il discorso, così come in noi stessi, come soggetti-ricercatori.

La Teoria Socio-Storica dell’Alfabetizzazione, a sua volta, ci ha permesso di comprendere che la scrittura è associata, fin dall’inizio dei tempi, al gioco del dominio/potere, partecipazione/esclusione, che caratterizza ideologicamente le relazioni sociali, soprattutto in una società diseguale come la nostra, nonché di capire che l’alfabetizzazione e l’alfabetizzazione sono processi che non finiscono, che le manifestazioni linguistiche orali possono anche sostenere lo sviluppo di un processo di paternità e che il discorso orale del soggetto analfabeta può essere permeato dalle caratteristiche del discorso scritto.

D’altra parte, la psicoanalisi freudiano-lacaniana è interessante, principalmente a causa delle concezioni di après-coup, secondo Lacan, e a posteriori, secondo Freud, tra cui soggettività, soggetto, transfert, tra gli altri, che consentono di realizzare analisi discorsive più fondate e approfondite.

E la psicoanalisi che Bion porta, è interessante per la sua specifica e speciale teoria del pensiero e del “pensare”, che rende possibile la riflessione sul “pensare per se stessi” o sulla “propria mente”.

In questo contesto, la questione dell’inconsci

o mostra che il linguaggio è opaco e scivoloso e che non esiste una purificazione capace di renderlo chiaro e trasparente.

2.1 CONCETTO DI INTERPRETAZIONE

È necessario intraprendere una breve riflessione sulla nozione di interpretazione, al fine di chiarire che la prospettiva discorsiva presuppone che l’uomo, in quanto simbolico e storico, “[…] è condannato a significare” (ORLANDI, 1996, p. 38), perché, in considerazione di qualsiasi oggetto simbolico, il soggetto ha la necessità di “dare” significato (ORLANDI, 1996, p. 64).

Nell’approccio discorsivo, l’interpretazione non è vista come un semplice gesto di decodifica, di apprensione del significato, perché non c’è modo di “catturare” il significato (i), poiché non emana (m) dalle parole.

In questo contesto, l’AD situa l’interpretazione nel rapporto con l’ideologia e questo, a sua volta, è concepito “[…] come il processo di produzione di un immaginario, cioè la produzione di una particolare interpretazione che apparirebbe, tuttavia, come l’interpretazione necessaria che attribuisce significati fissi alle parole, in un contesto storico” (ORLANDI, 1992, p. 100).

Quindi, si può affermare che l’interpretazione non è priva di determinazioni, essa (l’interpretazione) non può essere qualsiasi, non può essere arbitraria, perché ogni gesto di interpretazione è caratterizzato dall’iscrizione del soggetto e dal suo dire in una posizione ideologica, configurando una particolare regione nella memoria del detto.

Così, secondo Pêcheux (1997), il diritto all’interpretazione (alla lettura) è socialmente distribuito, cosicché, dal punto di vista delle formazioni sociali, le istituzioni governano le (im)possibilità di interpretazione.

Pertanto, dato il modo in cui l’interpretazione è amministrata istituzionalmente, la paternità ne è influenzata. Cioè, per poter occupare la posizione dell’autore, è necessario che il soggetto possa, piuttosto, avere il diritto e la possibilità di occupare diversi luoghi di interpretazione, muoversi intorno ad essi e costituirsi come interprete. Cioè, che può passare attraverso processi di identificazione, e non trovarsi arrestato, fissato e determinato in qualche identità data da un altro.

Pertanto, si ritiene pertinente pensare e discutere sulle (im)possibilità del soggetto di occupare una posizione che gli consenta di intervenire nel processo di produzione di significati. Essere in grado di occupare un posto sociale e ideologico e sentirsi autorizzati a dire, interpretare e produrre significati da quel luogo.

2.2 AUTORIALITÀ: ALCUNE DOMANDE DI BASE

È anche necessario considerare la storia della costituzione dei sensi nella scrittura e nell’oralità, oltre al ruolo della memoria (storico e particolare).

Considerare che il soggetto può anche essere un autore nel discorso orale amplia la comprensione del fenomeno dell’alfabetizzazione, permettendo di includere nella domanda il discorso orale di soggetti non alfabetizzati, che vivono in società alfabetizzate. Nella stessa direzione di Tfouni (1995, 2001), Assolini (2003, 2010, 2013) mostra che il principio di paternità è nei discorsi orali di bambini che ancora non sanno leggere e scrivere. Con questa comprensione, l’obiettivo di interesse sul tema non è più legato solo allo sviluppo di competenze e competenze legate alla lettura e alla scrittura; Lancia la sfida di descrivere l’alfabetizzazione all’interno di una concezione di pratiche sociali che si compenetrano e si influenzano a vicenda, siano esse pratiche orali o scritte.

In questo contesto, essendo l’alfabetizzazione “[…] un processo la cui natura è socio-storica” (TFOUNI, 1995, p. 31), è necessario accettare

[…] que tanto pode haver características orais no discurso escrito quanto traços de escrita no discurso oral. Essa interpenetração das duas modalidades inclui, portanto, entre os letrados, também os não alfabetizados, e aquelas pessoas que são alfabetizadas, mas têm baixo grau de escolaridade. (TFOUNI, 1995, p. 42).

Di conseguenza, viene sottolineato il principio della paternità “[…] caratteristica dell’organizzazione del testo scritto”, ma “[…] ci sono caratteristiche linguistiche discorsive che sono indicate come esclusive della scrittura, che, tuttavia, sono presenti nel discorso orale dell’analfabeta” (TFOUNI, 1995, p. 45). Così, per Tfouni (1995), la paternità si verifica non solo nel discorso scritto, ma anche nel discorso orale.

L’approccio discorsivo all’alfabetizzazione, proposto da Tfouni (1995), porta alla discussione il fatto che non è più la lingua che dovrebbe essere considerata come un parametro, “[…] ma i discorsi che sostengono le pratiche letterarie” (TFOUNI, 2001, p. 82). Da questo punto di vista, la dicotomia lingua orale/lingua scritta non serve più.

Così, come mostrato nel ritaglio 1 delle analisi discorsive, salvando le parole pronunciate dal insegnante-soggetto C, si può visualizzare che è presente sia l’oralità nella trasmissione di un discorso, nella trasmissione dei significati, sia la paternità – che è indipendente dalla matrice discorsiva che proveniva dalla nonna che, a sua volta, era analfabeta. A questo proposito, la paternità appare quando le storie che la nonna ha raccontato sono state raccontate e ricreate in un modo nuovo.

L’azione di raccontare storie permette al soggetto di rassegnarle secondo la sua memoria discorsiva, che gli permette di salvare ogni sorta di sensi, anche quelli cancellati e messi a tacere (censurati).

Detto questo, la psicoanalisi freudiano-lacaniana presuppone un soggetto dell’inconscio e, quindi, un soggetto singolare. Quando si pensa alla singolarità del soggetto, decostruisce l’omogeneità illusoria della classe e di un gruppo di studenti, confuta modelli e programmi pedagogici unici, evidenzia la soggettività dello studente e dell’educatore, fornisce supporto teorico per capire che siamo il risultato dei discorsi che ci compongono e fornisce principi teorici per capire che siamo in grado di risignificare situazioni, sentimenti e aggressioni che non possiamo affrontare.

È un processo che vincola il permesso, l’autorizzazione, non la censura o l’interdizione.

Riportando in mente i “memórias da plantação” di Grada Kilomba, a proposito dell’atto di scrivere, dice che: “Questo passaggio da oggetto a soggetto è ciò che contraddistingue la scrittura come atto politico”. Pertanto, scrivere, secondo l’autore, è un modo per “diventare soggetto” (KILOMBA, 2019, p. 28).

Pertanto, si conclude che sono facilitatori nel risignificare la propria storia, il che rende possibile comprendere la storia stessa e la storia collettiva e, quindi, accedere a questo luogo di interpretazione e paternità nel mondo.

3. METODOLOGIA: COSTITUZIONE DEL CORPUS

Considerando che la scrittura permette al soggetto di prendere le distanze dalla quotidianità e che il raffreddamento della censura e, ancora, del significato di sé, in molti casi, influenza i movimenti identitari, facendoli fluire, è possibile comprendere le dichiarazioni orali e scritte degli insegnanti-materia come un modo di parlare di sé, delle loro esperienze, emozioni, sentimenti, ansie, insomma di esprimere la loro soggettività.

Per questo, questa ricerca ha avuto la partecipazione di 35 (trentacinque) soggetti-insegnanti che insegnano nelle scuole pubbliche statali e municipali di Ribeirão Preto e delle città circostanti, che hanno risposto a interviste semi-strutturate e hanno rilasciato dichiarazioni orali e scritte sulle loro relazioni con la lettura e la scrittura, nonché sulle loro pratiche pedagogiche scolastiche, sviluppato nei primi anni della scuola elementare. Così, per questo articolo, sono state scelte tre sezioni di due insegnanti, con discorsi contrastanti, potendo così sostenere questa ricerca.

Detto questo, è opportuno ricordare che, secondo il quadro teorico-metodologico, questi insegnanti sono stati scelti come “posizione disciplinare”, in questo caso, “posizione insegnante-soggetto”. Pertanto, è stata osservata e analizzata la posizione che enunciano e non questioni come il nome, l’età e altri aspetti sociologici.

Così, dal punto di vista teorico dell’AD, la materialità linguistica è stata considerata nella convergenza tra linguistica, ideologia e inconscio.

Trattare gli aspetti metodologici, tuttavia, presuppone teorizzare ancora, perché, nell’AD, non esiste un unico modello che possa essere applicato in modo indifferenziato a qualsiasi discorso. La metodologia, quindi, si costruisce in un continuo movimento tra teoria e analisi, chiamato da Pêcheux (1999, p.50) “beat”, dove le domande di ricerca determinano le procedure metodologiche necessarie per l’analisi del discorso che costituisce il corpus discorsivo.

Pertanto, è importante dire che questo studio ha utilizzato il paradigma degli indizi, come proposto da Carlo Ginzburg (1989), perché saranno indicati i segni e gli indizi linguistici che permetteranno di entrare nel nucleo dell’intradiscorso che, a sua volta, porterà alla comprensione delle formazioni discorsive e delle formazioni ideologiche che proiettano. L’ascolto dell’analista è, quindi, una risorsa a cui non si può rinunciare, e spetta all’analista del discorso ascoltare i silenzi, i puntini di sospensione, i non detti e i significati costituiti dalle formazioni discorsive in cui il soggetto è incluso, rimandandoli alle formazioni ideologiche che ad essi corrispondono.

Pertanto, nel processo metodologico, verrà considerata la relazione interdiscorso e intradiscorso:

Ao trabalharmos com o interdiscurso, consideramos os já-ditos, as redes de filiação de dizeres aos quais o sujeito se associa para dizer o que diz, a historicidade dos sentidos e seus vínculos político-ideológicos. Em se tratando do intradiscurso, consideramos o fio do discurso, isto é, o que estamos dizendo naquele momento, em determinadas condições de produção (ASSOLINI, 2019, p. 31).

4. RISULTATI: ASCOLTARE OLTRE LE APPARENZE

4.1 RITAGLIO N. 1 

“Nossa, já faz tanto tempo, mas parece que foi ontem […]. O meu irmão era uma ‘peça’, ele recontava as histórias que minha avó nos contava…, quero dizer, recontava tudo de outro jeito, e eu também, porque eu o imitava, e a minha tia dizia: ‘mas vocês são demais, hein?’”“Pra nós, ler era como brincar, os livros eram sim para ler, mas também para nossas brincadeiras de criança de escolinha, professor, aluno”. “Posso te dizer que tinha sim muita magia, muito encantamento naquela simplicidade toda. Mas a minha avó, mesmo sendo analfabeta, levava a gente para outros mundos” (Sujeito-professor C).

Considerando che l’interdiscorso corrisponde al significato “já-lá”, a “questo parla”, e dimostra la memoria delle formazioni discorsive, oltre al dominio della conoscenza (ORLANDI, 1992), si può notare che questo discorso presenta segni e indicazioni di relazioni con la pratica della lettura, dove è stato percepito, sentito e trattato come uno spazio per la produzione di significati. Ci sono anche tracce che ci permettono di renderci conto che, in quel periodo della sua vita (infanzia), in quelle condizioni di produzione, la materia-insegnante C occupava la posizione di insegnante-soggetto, dicendo: “o meu irmão era uma ‘peça’, […] recontava tudo de outro jeito, e eu também, […] e a minha tia dizia: ‘mas vocês são demais, hein?’“.

Occupare questa posizione, quella di soggetto storicizzato dall’interprete (ASSOLINI, 2003, 2013), cioè quella di soggetto autorizzato a parlare, a produrre altre letture e a raccontare storie, a partire dalla sua memoria discorsiva, ha permesso al insegnante-soggetto C di comprendere che poteva stabilire un rapporto con la lettura caratterizzato non dall’interdizione, ma dalla comprensione dell’infinità dei sensi. Le pratiche letterarie sperimentate dal insegnante-soggetto C, tra cui ascoltare le storie raccontate da sua zia, raccogliere e maneggiare i libri e guardare la madre che leggeva le lettere, lo hanno aiutato a costruire il suo interdiscorso legato alle pratiche di lettura fin dalla sua infanzia, in cui il significato “magia”, “incanto”, “gioco da ragazzi” e “altri mondi” si riferiscono a situazioni e sensi piacevoli e stimolanti con la lettura.

4.2 RITAGLIO N. 2

“Ler, para mim, sempre foi uma chatice, motivo de desgosto, principalmente na infância, porque minha mãe dizia, ou melhor, obrigava a gente a ler a Bíblia todos os dias. […] Agora, quando a gente perguntava alguma coisa, quando queria saber mais… isso era uma afronta… A gente via pelo jeito dela que não podia perguntar nada… que tinha que ficar quieta… bem calada… Tinha que engolir as histórias da Bíblia do jeito que ela falava, porque senão íamos para o inferno. Eu já sabia disso com oito anos de idade” (Sujeito-professor D).

Per il insegnante-soggetto D, le esperienze con la lettura nell’infanzia si riferiscono a ricordi in cui sono presenti significati legati a “obbligatorietà”, “imposizione”, “peccato”, “noia” e “disgusto”.

Nelle formazioni discorsive in cui era iscritto, nella sua infanzia, il insegnante-soggetto D era praticamente obbligato ad accettare le interpretazioni impostegli dalla madre, che occupa la posizione di soggetto regolatore e controllore dei sensi; “custode” dei sensi che vanno necessariamente attribuiti alle storie bibliche.

Così, il insegnante-soggetto D imparò fin dall’infanzia che non doveva osare interpretare, perché domande, domande o altre letture erano trattate, dalla posizione madre-soggetto, come un deprezzamento alle Sacre Scritture. Subordinata, questa situazione imponeva all’insegnante-soggetto i valori e le norme della Chiesa cattolica.

Inoltre, si osserva che, per quanto riguarda la linguistica, la testimonianza dell’insegnante-soggetto mostrava molti segni di reticenza, il che ha permesso di dedurre che potevano ancora essere narrati più ricordi. Tuttavia, sembra che il insegnante-soggetto D non abbia desiderato o potuto svolgere l’azione di resemaring esperienze che, secondo la nostra interpretazione, hanno suscitato sentimenti spiacevoli.

In questo contesto, l’analisi di questa testimonianza porta indizi e tracce di un discorso in cui l’interdizione si sovrapponeva all’interpretazione.

Pertanto, è importante chiarire che questa ricerca si basava su un dispositivo teorico che comprende il soggetto dalla sua ideologia e dal suo inconscio. Così, per quanto cerchi di padroneggiare i suoi sensi, i suoi difetti, le sue crepe e le sue rotture si manifesteranno nel suo discorso. Come sottolinea Orlandi (1999, p. 59), “[…] La memoria è fatta di dimenticanza, di silenzi. Dai sensi inespressi, dai sensi di non essere, dai silenzi e dai silenzi”.

In questo contesto, i sensi non avvengono indipendentemente dal soggetto, perché, quando parla, il soggetto significa; e per significato, lo stesso significa (ri)significato (ORLANDI, 2006). Pertanto, i processi di significazione sono caratterizzati dalla configurazione del soggetto e dal significato allo stesso tempo, e i meccanismi di produzione dei sensi e del soggetto sono gli stessi.

In questo aspetto, lo psicoanalista Fabio Herrmann porta qualcosa di simile quando parla della costruzione del desiderio nel soggetto. Hermann afferma che il soggetto è costruito di default dalle regole che organizzano le sue emozioni. Secondo lui, “sono regole culturali, ma sono anche regole che fanno cultura, perché la cultura fa e si fa nello stesso movimento”. (HERRMANN, 1979, p.71). Così, parlando specificamente del desiderio, Herrmann dice che la costruzione del desiderio, come l’impalcatura di un edificio, non appare; La persona è costruita dal desiderio, “perché si è integrata nel mondo e il soggetto nel mondo, costituendo una serie omologa che non consente risalto, che non lo evidenzia. […] È il desiderio che costruisce soggetto e oggetto” (HERRMANN, 1979: 71).

Non c’è altro soggetto che il significante, poiché il significante assume sempre un soggetto. Significativo questo non ha senso e, quindi, suppone un soggetto dall’articolazione con altri significanti. Pertanto, il soggetto è l’effetto e non l’origine.

Nel contesto di questa analisi, si osserva che Lacan (1966 [1998]) si appropria e successivamente scarta e sovverte la concezione saussuriana del segno linguistico. Per il maestro di Genebrino, il segno linguistico è un’entità psichica a doppia faccia, che significa (concetto) + significante (immagine acustica). Considerando che entrambi, significativo e significato, formano un insieme inseparabile in una certa misura, si può capire perché le circoscrizioni in un’ellisse fanno emergere il significato.

Lacan (1998) elabora una teoria del significante che ha come punto di partenza l’algoritmo: S/s. Negli scritti del capitolo “L’istanza della lettera nell’inconscio o la ragione dopo Freud”, si preoccupa di chiarire la lettura del suo algoritmo: “(…) significativo sul significato, corrispondente il “circa” alla barra che tra le due fasi” (LACAN, 1998, p. 500). Pertanto, considerare questo tratto, dargli valore bar, implica privilegiare la pura funzione del significante a scapito dell’ordine del significato. Fissando il significante sopra la barra e tracciandolo in lettere maiuscole, Lacan (1998) mostra che la presenza del significante nel discorso è prevalente, perché il parlante scivola da significativo a significativo, senza comprendere appieno ciò che dice, alienato dal significato che produce. È l’articolazione tra i significanti, costituiti in catene, che genera il processo di significato.

Inoltre, gli effetti dell’Inconscio – che è strutturato come linguaggio (LACAN, 1990) – producono una conoscenza che non è conosciuta. È dunque nei colpi di un discorso (parola piena) che sorge il soggetto del significante, il soggetto dell’Inconscio, che non si rende conto del suo discorso, dei suoi errori, o dei significati che produce, diversi dal posteriori.

Nel sistema educativo brasiliano circolano ancora concezioni secondo le quali conoscere la lingua e conoscere la lingua significa “saper leggere e scrivere correttamente” la “nostra” lingua. Questa comprensione egemonica, ancora in vigore, rafforza il pregiudizio sociale del “saper leggere e scrivere bene”, ignorando, ad esempio, l’opacità e l’incomprensione della lingua e il fallimento della lingua nella storia. In altre parole, si nega che, nel suo funzionamento, le parole diano luogo a interpretazioni diverse, e la poesia e la memoria della lingua siano ignorate, oltre alle sorprese che ne derivano.

Posizionarsi come interprete-storicizzato richiede una rottura con l’illusione del significato letterale o dell’effetto referenziale, che produce l’illusione della trasparenza e della neutralità dei significati; Richiede inoltre di tenere presente che le interpretazioni non sono mai definitive e, quindi, il soggetto può rischiare gesti interpretativi diversi. Pertanto, il concetto di interprete-storicizzato fa parte del postulato, secondo il quale tutti abbiamo una conoscenza della lingua: l’alfabetizzazione. Concepito qui come un processo socio-storico, che fa parte di un continuum, da cui si può dire che ci sono gradi o livelli di alfabetizzazione e alfabetizzazione, l’alfabetizzazione, nel suo approccio socio-storico, comprende la produzione di significati determinati dall’ideologia e dall’inconscio (TFOUNI, 1995, 2001).

Considerare il livello o il grado di alfabetizzazione della materia è un’azione importante per l’insegnante-soggetto, perché, oltre a supporre che il soggetto abbia già accumulato conoscenze sulla scrittura e sulle diverse lingue in generale, può riconoscere e valutare i gesti interpretativi degli studenti di cui è responsabile, e più alto è il livello di alfabetizzazione più aree di significato saranno attivate dallo studente. In questa linea di pensiero, è opportuno ricordare all’insegnante l’importanza di far passare i sensi più diversi attraverso la classe, anche se a prima vista sembrano caotici e sconnessi con il tema o il compito in questione, per esempio.

4.3 RITAGLIO N. 3 

“Aqui, na minha sala de aula, a caixa de livros está à disposição. Acredito que uma das coisas que ajuda as crianças desta classe a gostar de ler é que eles pegam os livros que quiserem, escolhem eles mesmo, podem pegar o que tiver vontade” (Sujeito-professor C).

L’enfasi posta dal insegnante-soggetto C, riguardo alla possibilità che gli studenti scelgano i libri che li attraggono, porta la prova che l’insegnante-soggetto si preoccupa di promuovere condizioni di produzione favorevoli in modo che l’accesso degli studenti alla collezione che hanno in classe sia senza interdizione o censura. Resta inteso che il verbo “potere” è usato nel senso di “essere autorizzato a”. Pertanto, autorizzare gli studenti a scegliere i libri che desiderano leggere e consentire loro l’accesso alla scatola dei libri, che viene messa a disposizione, contribuisce in modo significativo a far sì che gli studenti imparino a mettersi in gioco con le loro scelte, nonché con le letture e le interpretazioni che eseguiscono. L’azione dell’insegnante-soggetto dà indizi che il suo discorso e la sua pratica pedagogica sono distanti dal discorso pedagogico tradizionale, di solito autoritario, conteudista e magistrocêntrico. Le formazioni discorsive in cui questo insegnante-soggetto è inscritto si riferiscono a formazioni ideologiche che si allontanano dai discorsi e dalle ideologie che concepiscono l’insegnante come proprietario assoluto della conoscenza, e possono imporre definitivi, unici, non soggetti a domande o confutazioni.

Pertanto, si sostiene che è compito dell’insegnante promuovere condizioni favorevoli di produzione in classe in modo che il lavoro pedagogico con la lettura e la scrittura possa avvenire in modo piacevole ed efficace, raggiungendo i principali obiettivi educativi dei primi anni della scuola elementare: insegnare allo studente a leggere, scrivere, interpretare e produrre testi contrassegnati dalla paternità. Inoltre, è idealizzata una scuola che offre agli studenti, solidamente, alti livelli di alfabetizzazione e alti livelli di alfabetizzazione. Pertanto, cerchiamo pratiche pedagogiche che enfatizzino l’importanza dell’alfabetizzazione, poiché la compenetrazione di alfabetizzazione e alfabetizzazione consentirà allo studente di leggere e scrivere con competenza e interpretare, sapendo che la sua interpretazione non è l’unica e che molte altre sono anche possibili. Pertanto, si evidenzia che, quando si sviluppa un insegnamento che pone lo studente nella posizione di autore del proprio detto, la scuola contribuisce allo stesso imparare ad ascoltare e pensare a ciò che dice, o omettere. Non è possibile formare cittadini critici, capaci di diffidare dei significati “unici”, per estrarli e decostruirli senza investire nella formazione di soggetti d’autore.

Così, si può vedere che, secondo i postulati di pêcheux (1997), questo insegnante-soggetto si muove nel senso di muoversi dalle formazioni ideologiche che stabiliscono chi ha e chi non ha diritto di leggere. In classe tutti gli studenti possono occupare la posizione di “letterati”, cioè soggetti in grado di produrre significati. Pertanto, occupare una tale posizione è un grande progresso, perché gli studenti, in questa posizione, possono muoversi attraverso altre aree di significato, mobilitando i propri ricordi di significati che certamente hanno significati particolari per loro.

5. CONSIDERAZIONI FINALI

L’idea, in queste considerazioni finali, è quella di differenziare il soggetto che formula i significati da colui che è solo un giocatore di significati. Inoltre, è importante identificare quando si verificano possibili degradazioni e distorsioni discorsive da determinate affiliazioni.

In questo contesto, la domanda principale era questo articolo: in che modo la struttura di potere influenza la costruzione del proprio pensiero, specialmente nella costruzione di un discorso pedagogico da parte dell’insegnante? Pertanto, abbiamo cercato, dai concetti di soggetto e autorialità, di pensare a come le letture e le affiliazioni del discorso e del significato creano o impediscono l’esistenza di un pensiero proprio e slegato da una mera struttura di potere.

In questo contesto, ciò che è stato visto in ciascuno degli esempi presentati è che prevaleva l’identificazione dell’insegnante con un discorso pedagogico socio-americano storicamente costituito, dove la presenza del dispiacere prevaleva nelle attività, poiché erano guidate da imposizioni istituzionali (si legge rassegnazione a un discorso precedente, di potere stabilito, basato e limitato dalla censura, causando l’interdizione a una propria costruzione discorsiva); E ora predominava l’interpretazione e la produzione (non la riproduzione) di significati da parte dell’insegnante-soggetto, che si autorizzava nei suoi stessi detti.

Detto questo, si osserva che al giorno d’oggi, con l’avvento e l’abuso di discorsi morali, dogmi, credenze deliranti, dottrine di ogni tipo e ideologie che disprezzano la conoscenza scientifica, con il concomitante inserimento in discorsi apparentemente autorizzati all’interno della realtà e in una certa struttura di potere in una società, diventa difficile identificare i degradi e le distorsioni di significato, Il che fa sì che chi vuole formulare i propri sensi affronti molte sfide, dovendo essere disposto a indagare costantemente, senza essere in grado di essere soddisfatto in ciò che legge, pensa o dice.

Pertanto, attraverso la ricerca bibliografica, si è scoperto che è importante essere consapevoli del suo posto storico, ideologico e sociale, ma con la capacità di essere in grado di esercitare un esercizio critico e di essere in grado di dubitare metodicamente, mettendo in discussione questo stesso luogo che occupa, immaginario o fattuale.

In questo contesto, secondo la psicoanalisi, la capacità di formare pensieri dipende dalla prima relazione stabilita tra genitori e figli, più specificamente tra la madre (o chi svolge la funzione materna) e il bambino.

Alcuni importanti psicoanalisti della storia teorico-clinica della psicoanalisi hanno fatto grandi progressi in questo campo, come lo psicoanalista Wilfred Ruprecht Bion che mirava ad aiutare il paziente a far nascere pensieri, poiché, per lui, così come per Freud, il pensiero è un preludio all’azione (azione di pensiero).

Per fare ciò, Bion dice che c’è un pensatore sconsiderato che ha bisogno di un pensatore per pensarlo. La capacità di formare pensieri, quindi, secondo Bion, dipenderà dalla capacità del bambino / individuo di tollerare la frustrazione. Se questa capacità è sufficiente, l’assenza sentita può diventare un pensiero e, quindi, il soggetto può sviluppare un “dispositivo per pensare”.

Questo dipende molto dalla costituzione psichica e biologica del bambino, ma soprattutto dall’interazione che avviene tra le funzioni materno/paterna e quella del bambino. Se il soggetto rimane identificato con i genitori, non ci sarà spazio per pensare, tendendo a ripetere gli stessi schemi linguistici di queste funzioni. Se c’è una distanza salutare, permettendo al soggetto di diventare se stesso, pensare da solo diventerà più possibile. Pertanto, tutto questo fenomeno che si verifica nella prima infanzia è fondamentale per pensare alla capacità che un soggetto (e più specificamente qui l’insegnante-soggetto) avrà di erigere il proprio edificio di formulazione dei sensi.

Così, avanzando nel tempo, il rapporto che avrà con altre figure autoritarie che incontrerà lungo il cammino, come insegnanti, educatori, familiari, capi, e le linee teoriche a cui aderirà (come nel caso degli insegnanti, in relazione alle formazioni discorsive che rimandano a formazioni ideologiche del Discorso Pedagogico Scolastico tradizionale – DPE), porterà il rischio di non percepire nei legami di questi discorsi che lo escludono.

Perché l’insegnante-soggetto si costituisca come interprete-storicizzato, essendo in grado di interpretare il mondo, ha bisogno di distaccarsi dai sensi imposti da certe strutture di potere preesistenti. I discorsi pronti e i sensi e le tasse sono luoghi di divieto al pensiero. L’empowerment, la responsabilità e il protagonismo avvengono solo quando questi divieti e censure vengono infranti.

La psicoanalisi, come strumento, così come le scuole, con i loro dispositivi di ascolto e conversazione, possono aiutare il soggetto ad ascoltare. In questo senso, l’ascolto del proprio discorso, promuovendo risignificati e riformulazioni di significati, potrebbe essere una sorta di possibilità di diventare padre di se stessi? Perché ciò che è in gioco è la paternità in relazione a ciò che pensi: essere un autore. Così, si può essere un autore di se stessi e del proprio mondo, poiché la vita può anche essere una finzione.

RIFERIMENTI

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TFOUNI, Leda Verdiani. A dispersão e a deriva na constituição da autoria e suas implicações para uma teoria de letramento. In: SIGNORINI, Inês et al. (Org.). Investigando a relação oral/escrito e as teorias do letramento. Campinas: Mercado de Letras, 2001. p. 77-94.

TFOUNI, Leda Verdiani. Letramento e Alfabetização. 1. ed. São Paulo: Cortez, 1995. 

APPENDICE – NOTA A PIEDI

4. Discurso Pedagógico Escolar (DPE).

ALLEGATO (COMITATO ETICO) 

Allegato 1 Allegato 2 Allegato 3 [1] Post-dottorato. Dottorato di ricerca in Psicologia. ORCID: 0000-0002-8433-4862.

[2] Psicoanalista. È laureato in Psicoanalisi e Contabilità. Master in Programma interdisciplinare in Scienze della salute presso UNIFESP.

[3] Dottorato di ricerca in corso in Scienze dell’Educazione. ORCID: 0000-0003-4336-5803.

Inviato: marzo 2021.

Approvato: luglio 2022.

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Filomena Elaine Paiva Assolini

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